Il ruolo di Luigi Longo, il Comandante Gallo
(a cura di Piercarlo Albertosi, Associazione Culturale “Luigi Longo”. 2005)
1.1 - C’è un aspetto che spesso resta in ombra quando si affronta una riflessione sulla guerra di Spagna, sopraffatto - com’è forse naturale - dai tanti eventi e dalle tante vicende epiche che hanno costellato i tre anni di quel sanguinoso conflitto: la responsabilità delle “democrazie occidentali” che decisero di non intervenire sulla base di calcoli che si sarebbero rivelati tragicamente sbagliati. Una decisione, quella non interventista, assunta non per un principio di non ingerenza negli affari interni di uno Stato sovrano (era chiaro fin dal primo istante che la guerra civile vedesse coinvolte militarmente la Germania nazista e l’Italia fascista) quanto invece per la paura che si affermasse in Europa, attraverso l’esperienza spagnola, un modello di democrazia diverso e più moderno di quello concepito dalle lobbies conservatrici al potere in quei paesi. Il governo spagnolo uscito eletto dal voto popolare aveva, infatti, dentro di sé forze permeate da “utopie socialiste”, il che lo collocava, nell’Europa liberale del tempo, ad un livello alto di pericolosità, molto più, per intenderci, delle già affermate e sordide dittature che stavano soggiogando alcuni popoli europei. La sottovalutazione del pericolo nazifascista, errore ripetuto nel successivo Accordo di Monaco (settembre 1938), spianò la strada alle mire espansionistiche di Hitler (e di Mussolini) ed a quella che si sarebbe rivelata la tragedia della seconda guerra mondiale. E’ opinione diffusa tra gli storici che se la Francia avesse subito soccorso la Spagna repubblicana la ribellione sarebbe stata stroncata nelle prime settimane e sarebbe radicalmente cambiato il corso degli eventi successivi in Europa.
1.2 - Nel febbraio 1936 le elezioni spagnole avevano, dunque, consegnato la vittoria al Fronte Popolare; una vittoria resa possibile dall’apporto determinante di anarchici e comunisti che, tuttavia, non presero inizialmente parte al governo il quale, comunque, riuscì ad avviare subito importanti riforme progressiste. In quella vittoria concorsero due elementi di novità: la nuova legge elettorale di tipo maggioritario che assegnava alla coalizione vincente la maggioranza assoluta dei seggi parlamentari (il Fronte Popolare ottenne il 48% dei voti contro il 46% del centrodestra) e l’applicazione della cosiddetta “direttiva Dimitrov” con la quale l’Internazionale Comunista (IC) indicava alle sinistre europee la necessità di dar vita ai Fronti Popolari con la partecipazione diretta dei comunisti nei governi in caso di vittoria. Quel risultato elettorale coglieva impreparate le cancellerie europee; si trattava di un successo la cui onda lunga avrebbe potuto produrre effetti emulativi negli altri paesi, come avvenne effettivamente in Francia dove, di lì a poco nel maggio 1936, un’analoga alleanza vinse le elezioni insediando a capo del governo il socialista Léon Blum. In rapidissima successione, nel paese transalpino, si affermarono conquiste sociali per quei tempi inimmaginabili che preoccuparono i governi conservatori: le 40 ore, il diritto alle ferie retribuite, i contratti collettivi nazionali, il riconoscimento dei delegati sindacali di fabbrica.
1.3 - La Spagna aveva aperto una strada e, dunque, quella strada doveva essere rapidamente sbarrata. D’altra parte la Spagna non era la Francia; troppo diverse le due storie politiche e sociali. Le prime elezioni spagnole, infatti, si erano svolte nel 1930 dopo un lungo periodo di monarchia assoluta e la dura dittatura di Primo De Rivera. Si trattava, quindi, di una democrazia ancora fragile ed incerta nella quale le stesse organizzazioni politiche e sindacali erano troppo deboli, per giunta in un Paese la cui cultura dominante era ancora intrisa di clericalismo oscurantista. Era soprattutto nell’esercito, però, il punto debole del nuovo governo poiché esso era ancora quasi interamente sotto il controllo dei generali di fede monarchica.
1.4 - Il 18 luglio, sostenuta dagli stati fascisti europei, scoppiava la rivolta dei “quattro generali” - capeggiata dal generale Françisco Franco di stanza in Marocco- che di lì a tre anni condurrà la Spagna nella lunga notte della dittatura (che durerà fino al 1975) e l’Europa nel baratro della guerra. Il conflitto spagnolo fu anche teatro del primo scontro armato tra fascismo ed antifascismo, con la partecipazione di molti intellettuali di ogni parte del mondo e con gli italiani impegnati in entrambi i fronti. La “guerra di Spagna” iniziò come guerriglia di popolo in tutte le principali città per opporsi al tradimento dei generali e di gran parte dell’esercito (la marina restò fedele alla repubblica). A fianco dei “repubblicani” si schierarono Urss, Messico e, a fasi alterne, Francia mentre Italia, Germania e Portogallo si schierarono con i “nazionalisti”. Il Vaticano si schierò immediatamente con Françisco Franco e le sue “falangi”. Nel 1936 si scontrarono, quindi, due Spagne, quella popolare, moderna e quella arretrata, in parte borghese ed in parte ancora feudale e clericale.
1.5 - Nel settembre 1938, mentre ancora infuriava la decisiva battaglia dell’Ebro, il governo spagnolo, su pressioni delle “democrazie” europee annunciò alla Società delle Nazioni la decisione di ritirare dal fronte tutti i volontari che tre anni prima si erano organizzati nelle Brigate Internazionali (BI) in difesa della repubblica spagnola. L’instaurazione della dittatura franchista, fondata sul potere del “Caudillo” e sulla repressione degli oppositori, causò la morte di 200 mila antifascisti e centinaia di migliaia di condannati a pene varie, oltre a 300 mila esiliati.
2.1 - La “direttiva Dimitrov” era stata emanata dall’IC - come si è detto - per indicare ai partiti aderenti la necessità di unire le forze, anche sul piano elettorale, allo scopo di contrastare più efficacemente la fascistizzazione del continente europeo. Luigi Longo (Gallo) era membro della Commissione Politica della IC dal 1933. L’anno successivo firmerà in Italia (insieme a Di Vittorio e Gennari) il patto di unità d’azione tra il PCI ed il PSI (rappresentato da Nenni, Saragat e Buozzi). Il cammino dei Fronti Popolari sin dall’inizio fu però tutt’altro che agevole.
2.2 - Allo scoppio dell’insurrezione falangista Longo collaborò, a Parigi, alla nascita del Comitato di Aiuto al Popolo Spagnolo e, subito dopo, si arruolò volontario nelle formazioni repubblicane dove già operavano altri antifascisti italiani. Comprese immediatamente che in Spagna stava accadendo qualcosa che avrebbe avuto forti ricadute sulla situazione in Italia. In effetti, prima di quel luglio 1936, la gioventù italiana non aveva avuto alcun contatto con il mondo della democrazia. Gli antifascisti italiani si trovavano quasi tutti all’estero quando non erano in prigione o al confino; in ogni caso essi erano privi della possibilità di veicolare le idee antifasciste ad una platea vasta e potenzialmente recettiva come era quella giovanile che aveva conosciuto solo l’esperienza del fascismo. Pochissimi giovani in Italia riuscivano a sapere qualcosa che non fosse fascismo. Ora dalla Spagna, attraverso la radio, giungevano le prime voci non fasciste: si disvelava la realtà di un mondo ben diverso da quello descritto dalla totalizzante propaganda di regime.
2.3 – Longo, insieme ad André Marty (segretario del PCF) e a Giuseppe Di Vittorio, fu incaricato dalla IC di organizzare le Brigate Internazionali in aiuto della Repubblica spagnola. Assunse subito un ruolo centrale non solo sul piano politico ma anche nell’organizzazione militare dei volontari antifascisti. Il problema impellente era infatti quello di organizzare un esercito moderno e disciplinato e di coordinare la grande adesione popolare da ogni continente in difesa della repubblica e della democrazia. Longo si rivelò, in effetti, l’uomo giusto; in pochissimo tempo riuscì a gettare le basi di un accordo con le autorità politiche e militari spagnole, riuscendo anche nell’altro delicato compito di garantire la massima rappresentatività unitaria sia nella composizione delle formazioni militari che nei diversi gradi della catena di comando nonostante fosse evidente la forte prevalenza comunista tra le migliaia di volontari stranieri. Con spirito pratico e le riconosciute doti umane, Longo riuscì a stemperare le asprezze inevitabili in quel contesto ma anche a contrastare le costanti e pericolose tendenze al settarismo. Il futuro promotore e comandante delle Brigate Garibaldi (il fulcro della resistenza armata in Italia) traeva dalla guerra di Spagna una preziosa esperienza che metterà a frutto nella lunga lotta di liberazione nazionale contro l’occupazione tedesca e contro i fascisti della repubblica di Salò.
2.4 - Per delineare le caratteristiche umane ed organizzative di Longo valga la descrizione che Velio Spano ne fece descrivendo “il comandante Gallo” nel corso degli asprissimi combattimenti nei pressi del fiume Jarama: “E’ l’uomo che non ha mai fretta. Metodico, preciso, Gallo fa una cosa per volta e finisce per fare tutto e bene. La sua attività è una perpetua lezione di organizzazione del lavoro. Eppure sbaglia chi pensa che Gallo manca di riflessi rapidi. Quando s’imponga una decisione immediata qualsiasi, anche importante e di grande responsabilità, Gallo sa prenderla senza esitare”. Le Brigate Internazionali arruoleranno complessivamente 50 mila volontari di 53 diversi Paesi raccolti in 14 Brigate guidate dal generale russo Emil Klèber.
2.5 – Altro merito di Longo fu quello di ottenere che le BI non diventassero una organizzazione militare separata dall’esercito regolare spagnolo e, di conseguenza, che in ogni brigata vi fosse una aliquota di combattenti spagnoli: in questo modo riuscì ad amalgamare combattenti di paesi, lingue e storie diverse e a rafforzarne lo spirito di fraternità. La presenza di volontari italiani in Spagna fu la più rilevante tra tutte le altre. Nell’organizzazione militare Longo assunse inizialmente il ruolo di Commissario del Battaglione Garibaldi (il nucleo attorno al quale si formerà la XII Brigata poi chiamata anch’essa Garibaldi) che riceverà il battesimo di fuoco molto presto (il 13 novembre) a Cerro de Los Angeles, sul fronte di Madrid. Successivamente gli venne affidato l’incarico di Ispettore Generale di tutte le BI e dei servizi sanitari internazionali.
2.6 - Il Battaglione Garibaldi si distinse particolarmente della battaglia di Guadalajara (8-25 marzo 1937), una delle più importanti della guerra civile, che registrò la vittoria degli antifascisti con una vastissima eco in tutto il mondo. In quella battaglia circa 50 mila miliziani franchisti (di cui 30 mila costituiti da “legionari” italiani, guidati dal generale Roatta) furono contrastati e battuti da due divisioni repubblicane (circa 6 mila soldati della “milicia popular”) alle quali si aggiunse, agli ordini del comunista Ilio Barontini, il Battaglione Garibaldi che fu scelto per l’attacco frontale di sfondamento delle linee nemiche. E’ in quella circostanza che fece l’ingegnosa comparsa una efficace forma di propaganda (l’Altavoz del frente) attraverso cui – con proclami scanditi in italiano – fu portato scompiglio nelle divisioni fasciste che non si aspettavano di trovarsi a combattere contro altri italiani. Una trovata di grande efficacia fu anche quella del “lasciapassare per tutti i soldati italiani” per favorire la diserzione – che fu consistente - nelle file fasciste. Si trattò in sostanza di un riuscito esempio di “guerra psicologica” che testimonia l’abilità strategica di Longo e del gruppo di dirigenti comunisti che lo affiancavano.
2.7 - Dopo la decisione del governo spagnolo di sciogliere le BI, Longo rimase in Catalogna fino al febbraio del 1939 insieme ad un piccolo gruppo di comunisti italiani tra i quali Giuliano Pajetta e Vittorio Vidali, più conosciuto in Spagna come il Comandante Carlos Contreras che aveva costituto e guidato il V reggimento dell’esercito repubblicano (chiamato il Reggimento di ferro).
(a cura di Piercarlo Albertosi, Associazione Culturale “Luigi Longo”. 2005)
1.1 - C’è un aspetto che spesso resta in ombra quando si affronta una riflessione sulla guerra di Spagna, sopraffatto - com’è forse naturale - dai tanti eventi e dalle tante vicende epiche che hanno costellato i tre anni di quel sanguinoso conflitto: la responsabilità delle “democrazie occidentali” che decisero di non intervenire sulla base di calcoli che si sarebbero rivelati tragicamente sbagliati. Una decisione, quella non interventista, assunta non per un principio di non ingerenza negli affari interni di uno Stato sovrano (era chiaro fin dal primo istante che la guerra civile vedesse coinvolte militarmente la Germania nazista e l’Italia fascista) quanto invece per la paura che si affermasse in Europa, attraverso l’esperienza spagnola, un modello di democrazia diverso e più moderno di quello concepito dalle lobbies conservatrici al potere in quei paesi. Il governo spagnolo uscito eletto dal voto popolare aveva, infatti, dentro di sé forze permeate da “utopie socialiste”, il che lo collocava, nell’Europa liberale del tempo, ad un livello alto di pericolosità, molto più, per intenderci, delle già affermate e sordide dittature che stavano soggiogando alcuni popoli europei. La sottovalutazione del pericolo nazifascista, errore ripetuto nel successivo Accordo di Monaco (settembre 1938), spianò la strada alle mire espansionistiche di Hitler (e di Mussolini) ed a quella che si sarebbe rivelata la tragedia della seconda guerra mondiale. E’ opinione diffusa tra gli storici che se la Francia avesse subito soccorso la Spagna repubblicana la ribellione sarebbe stata stroncata nelle prime settimane e sarebbe radicalmente cambiato il corso degli eventi successivi in Europa.
1.2 - Nel febbraio 1936 le elezioni spagnole avevano, dunque, consegnato la vittoria al Fronte Popolare; una vittoria resa possibile dall’apporto determinante di anarchici e comunisti che, tuttavia, non presero inizialmente parte al governo il quale, comunque, riuscì ad avviare subito importanti riforme progressiste. In quella vittoria concorsero due elementi di novità: la nuova legge elettorale di tipo maggioritario che assegnava alla coalizione vincente la maggioranza assoluta dei seggi parlamentari (il Fronte Popolare ottenne il 48% dei voti contro il 46% del centrodestra) e l’applicazione della cosiddetta “direttiva Dimitrov” con la quale l’Internazionale Comunista (IC) indicava alle sinistre europee la necessità di dar vita ai Fronti Popolari con la partecipazione diretta dei comunisti nei governi in caso di vittoria. Quel risultato elettorale coglieva impreparate le cancellerie europee; si trattava di un successo la cui onda lunga avrebbe potuto produrre effetti emulativi negli altri paesi, come avvenne effettivamente in Francia dove, di lì a poco nel maggio 1936, un’analoga alleanza vinse le elezioni insediando a capo del governo il socialista Léon Blum. In rapidissima successione, nel paese transalpino, si affermarono conquiste sociali per quei tempi inimmaginabili che preoccuparono i governi conservatori: le 40 ore, il diritto alle ferie retribuite, i contratti collettivi nazionali, il riconoscimento dei delegati sindacali di fabbrica.
1.3 - La Spagna aveva aperto una strada e, dunque, quella strada doveva essere rapidamente sbarrata. D’altra parte la Spagna non era la Francia; troppo diverse le due storie politiche e sociali. Le prime elezioni spagnole, infatti, si erano svolte nel 1930 dopo un lungo periodo di monarchia assoluta e la dura dittatura di Primo De Rivera. Si trattava, quindi, di una democrazia ancora fragile ed incerta nella quale le stesse organizzazioni politiche e sindacali erano troppo deboli, per giunta in un Paese la cui cultura dominante era ancora intrisa di clericalismo oscurantista. Era soprattutto nell’esercito, però, il punto debole del nuovo governo poiché esso era ancora quasi interamente sotto il controllo dei generali di fede monarchica.
1.4 - Il 18 luglio, sostenuta dagli stati fascisti europei, scoppiava la rivolta dei “quattro generali” - capeggiata dal generale Françisco Franco di stanza in Marocco- che di lì a tre anni condurrà la Spagna nella lunga notte della dittatura (che durerà fino al 1975) e l’Europa nel baratro della guerra. Il conflitto spagnolo fu anche teatro del primo scontro armato tra fascismo ed antifascismo, con la partecipazione di molti intellettuali di ogni parte del mondo e con gli italiani impegnati in entrambi i fronti. La “guerra di Spagna” iniziò come guerriglia di popolo in tutte le principali città per opporsi al tradimento dei generali e di gran parte dell’esercito (la marina restò fedele alla repubblica). A fianco dei “repubblicani” si schierarono Urss, Messico e, a fasi alterne, Francia mentre Italia, Germania e Portogallo si schierarono con i “nazionalisti”. Il Vaticano si schierò immediatamente con Françisco Franco e le sue “falangi”. Nel 1936 si scontrarono, quindi, due Spagne, quella popolare, moderna e quella arretrata, in parte borghese ed in parte ancora feudale e clericale.
1.5 - Nel settembre 1938, mentre ancora infuriava la decisiva battaglia dell’Ebro, il governo spagnolo, su pressioni delle “democrazie” europee annunciò alla Società delle Nazioni la decisione di ritirare dal fronte tutti i volontari che tre anni prima si erano organizzati nelle Brigate Internazionali (BI) in difesa della repubblica spagnola. L’instaurazione della dittatura franchista, fondata sul potere del “Caudillo” e sulla repressione degli oppositori, causò la morte di 200 mila antifascisti e centinaia di migliaia di condannati a pene varie, oltre a 300 mila esiliati.
2.1 - La “direttiva Dimitrov” era stata emanata dall’IC - come si è detto - per indicare ai partiti aderenti la necessità di unire le forze, anche sul piano elettorale, allo scopo di contrastare più efficacemente la fascistizzazione del continente europeo. Luigi Longo (Gallo) era membro della Commissione Politica della IC dal 1933. L’anno successivo firmerà in Italia (insieme a Di Vittorio e Gennari) il patto di unità d’azione tra il PCI ed il PSI (rappresentato da Nenni, Saragat e Buozzi). Il cammino dei Fronti Popolari sin dall’inizio fu però tutt’altro che agevole.
2.2 - Allo scoppio dell’insurrezione falangista Longo collaborò, a Parigi, alla nascita del Comitato di Aiuto al Popolo Spagnolo e, subito dopo, si arruolò volontario nelle formazioni repubblicane dove già operavano altri antifascisti italiani. Comprese immediatamente che in Spagna stava accadendo qualcosa che avrebbe avuto forti ricadute sulla situazione in Italia. In effetti, prima di quel luglio 1936, la gioventù italiana non aveva avuto alcun contatto con il mondo della democrazia. Gli antifascisti italiani si trovavano quasi tutti all’estero quando non erano in prigione o al confino; in ogni caso essi erano privi della possibilità di veicolare le idee antifasciste ad una platea vasta e potenzialmente recettiva come era quella giovanile che aveva conosciuto solo l’esperienza del fascismo. Pochissimi giovani in Italia riuscivano a sapere qualcosa che non fosse fascismo. Ora dalla Spagna, attraverso la radio, giungevano le prime voci non fasciste: si disvelava la realtà di un mondo ben diverso da quello descritto dalla totalizzante propaganda di regime.
2.3 – Longo, insieme ad André Marty (segretario del PCF) e a Giuseppe Di Vittorio, fu incaricato dalla IC di organizzare le Brigate Internazionali in aiuto della Repubblica spagnola. Assunse subito un ruolo centrale non solo sul piano politico ma anche nell’organizzazione militare dei volontari antifascisti. Il problema impellente era infatti quello di organizzare un esercito moderno e disciplinato e di coordinare la grande adesione popolare da ogni continente in difesa della repubblica e della democrazia. Longo si rivelò, in effetti, l’uomo giusto; in pochissimo tempo riuscì a gettare le basi di un accordo con le autorità politiche e militari spagnole, riuscendo anche nell’altro delicato compito di garantire la massima rappresentatività unitaria sia nella composizione delle formazioni militari che nei diversi gradi della catena di comando nonostante fosse evidente la forte prevalenza comunista tra le migliaia di volontari stranieri. Con spirito pratico e le riconosciute doti umane, Longo riuscì a stemperare le asprezze inevitabili in quel contesto ma anche a contrastare le costanti e pericolose tendenze al settarismo. Il futuro promotore e comandante delle Brigate Garibaldi (il fulcro della resistenza armata in Italia) traeva dalla guerra di Spagna una preziosa esperienza che metterà a frutto nella lunga lotta di liberazione nazionale contro l’occupazione tedesca e contro i fascisti della repubblica di Salò.
2.4 - Per delineare le caratteristiche umane ed organizzative di Longo valga la descrizione che Velio Spano ne fece descrivendo “il comandante Gallo” nel corso degli asprissimi combattimenti nei pressi del fiume Jarama: “E’ l’uomo che non ha mai fretta. Metodico, preciso, Gallo fa una cosa per volta e finisce per fare tutto e bene. La sua attività è una perpetua lezione di organizzazione del lavoro. Eppure sbaglia chi pensa che Gallo manca di riflessi rapidi. Quando s’imponga una decisione immediata qualsiasi, anche importante e di grande responsabilità, Gallo sa prenderla senza esitare”. Le Brigate Internazionali arruoleranno complessivamente 50 mila volontari di 53 diversi Paesi raccolti in 14 Brigate guidate dal generale russo Emil Klèber.
2.5 – Altro merito di Longo fu quello di ottenere che le BI non diventassero una organizzazione militare separata dall’esercito regolare spagnolo e, di conseguenza, che in ogni brigata vi fosse una aliquota di combattenti spagnoli: in questo modo riuscì ad amalgamare combattenti di paesi, lingue e storie diverse e a rafforzarne lo spirito di fraternità. La presenza di volontari italiani in Spagna fu la più rilevante tra tutte le altre. Nell’organizzazione militare Longo assunse inizialmente il ruolo di Commissario del Battaglione Garibaldi (il nucleo attorno al quale si formerà la XII Brigata poi chiamata anch’essa Garibaldi) che riceverà il battesimo di fuoco molto presto (il 13 novembre) a Cerro de Los Angeles, sul fronte di Madrid. Successivamente gli venne affidato l’incarico di Ispettore Generale di tutte le BI e dei servizi sanitari internazionali.
2.6 - Il Battaglione Garibaldi si distinse particolarmente della battaglia di Guadalajara (8-25 marzo 1937), una delle più importanti della guerra civile, che registrò la vittoria degli antifascisti con una vastissima eco in tutto il mondo. In quella battaglia circa 50 mila miliziani franchisti (di cui 30 mila costituiti da “legionari” italiani, guidati dal generale Roatta) furono contrastati e battuti da due divisioni repubblicane (circa 6 mila soldati della “milicia popular”) alle quali si aggiunse, agli ordini del comunista Ilio Barontini, il Battaglione Garibaldi che fu scelto per l’attacco frontale di sfondamento delle linee nemiche. E’ in quella circostanza che fece l’ingegnosa comparsa una efficace forma di propaganda (l’Altavoz del frente) attraverso cui – con proclami scanditi in italiano – fu portato scompiglio nelle divisioni fasciste che non si aspettavano di trovarsi a combattere contro altri italiani. Una trovata di grande efficacia fu anche quella del “lasciapassare per tutti i soldati italiani” per favorire la diserzione – che fu consistente - nelle file fasciste. Si trattò in sostanza di un riuscito esempio di “guerra psicologica” che testimonia l’abilità strategica di Longo e del gruppo di dirigenti comunisti che lo affiancavano.
2.7 - Dopo la decisione del governo spagnolo di sciogliere le BI, Longo rimase in Catalogna fino al febbraio del 1939 insieme ad un piccolo gruppo di comunisti italiani tra i quali Giuliano Pajetta e Vittorio Vidali, più conosciuto in Spagna come il Comandante Carlos Contreras che aveva costituto e guidato il V reggimento dell’esercito repubblicano (chiamato il Reggimento di ferro).
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