giovedì 30 ottobre 2008

Difendiamo la costituzione: un compromesso alto fra classi sociali contrapposte

In vari interventi e discussioni su diversi siti on line si cita spesso la Costituzione Italiana, i suoi fondamenti, i principi ed i diritti che afferma. In effetti, nel panorama politico sbalestrato e frammentato nel quale si vive oggi, la nostra Carta appare come uno, anzi direi l’unico punto fermo da cui trarre qualche certezza. Non a caso i tentativi di smantellarla si ripetono periodicamente. Parimenti non a caso il Comitato per la difesa della Costituzione sia a livello nazionale che nelle sue diramazioni territoriali ha come obbiettivo prioritario la messa in salvaguardia della Costituzione stessa, attraverso una modifica dell’art.138 e delle maggioranze in esso previste, tale da impedirne il cambiamento da parte di una sola forza politica, cosa possibile in un Parlamento eletto con il sistema maggioritario.
La nostra Costituzione, con il modello di organizzazione politica ed economica ed il sistema sociale che essa prevede, è frutto di un compromesso alto fra classi contrapposte, fra forze economiche differenti rappresentate dai partiti politici presenti nel dopoguerra. Si tentò una sintesi tra bisogni e strategie delle suddette classi, in un contratto sociale che ha pochi uguali.
La Carta Costituzionale configura un progetto di tipo neocapitalistico, peraltro molto aperto ed articolato e con ampie venature di interclassismo. Infatti, durante i lavori della Ia sottocommissione, Togliatti riconosce che “si sta scrivendo una Costituzione…… corrispondente ad un periodo transitorio di lotta per un regime economico di coesistenza di differenti forze economiche……”. E Lelio Basso afferma, nella seduta del 6 marzo 1947 della Assemblea Costituente: ”Noi non abbiamo mai pensato che si potesse portare a questa Assemblea una Costituzione socialista… e questo proprio perché noi siamo socialisti e, come tali, abbiamo vivo il senso della storia…”.
Nei lavori della Ia sottocommissione nasce un accordo fra Togliatti, La Pira, Dossetti e Moro per introdurre forme di controllo sociale sulla vita economica, ma tale accordo fra la sinistra e l’ala progressista della Democrazia Cristiana in aula non tiene, per cui non si realizza quel ridimensionamento del potere economico privato e non si crea quel collegamento strutturale fra l’art.4 comma 1, il diritto al lavoro, e l’art.41 comma 3, poteri di indirizzare e coordinare l’attività economica a fini sociali, che avrebbe invece dato maggior sostanza all’affermazione dell’art.1: “L’Italia è una repubblica democratica fondata sul lavoro”. L’art.41 pone l’iniziativa privata e quella pubblica su un piano di parità, mentre la dottrina economica del fascismo attribuiva alla libertà di iniziativa privata il primato su quella pubblica, che assumeva così un carattere subalterno. Ed oggi con un notevole passo indietro siamo di nuovo a questo punto. Purtroppo la Costituzione, frutto di un compromesso seppure alto, non ha definito la strumentazione utilizzabile dallo Stato per operare nell’economia, per cui le successive norme sono state strettamente legate ai rapporti di forza esistenti di volta in volta nel paese. Ed inoltre, in base alla Carta Costituzionale, lo Stato può intervenire nell’economia, ma non sull’economia, cioè sul modo di produzione.
Il problema dell’oggi è il mutamento dei rapporti di forza che hanno segnato un massiccio regresso, la ideologia del mercato è stata massicciamente introiettata dai lavoratori, anche per la pervasività dei mass-media convenientemente orientati e la colpevole debolezza della sinistra che ha portato al punto in cui siamo. Anche oggi alcune delle forze democratiche non sono ostili ad accordi con la destra per le riforme costituzionali.
Se si mettesse oggi mano a modifiche costituzionali verrebbero cancellati tutti i possibili spazi dei contropoteri in campo economico che la Costituzione aveva lasciato, peraltro mai riempiti quando i rapporti di forza erano più favorevoli ai lavoratori, e soprattutto verrebbero eliminati molti diritti fondamentali. Mentre invece molti di noi avrebbero desiderato vedere introdotte nella Costituzione ad esempio le tematiche dell’ambiente, della comunicazione, del progresso tecnologico e del suo uso ecc..
Il peggio è che di fronte alla marea montante della povertà e dei bisogni sociali oggi presenti nel nostro paese si sta procedendo, con brutale rapidità ed impunemente, allo smantellamento dello stato sociale, della struttura dello Stato stesso e della democrazia.
Il ministro del welfare propone di favorire la “complicità” fra capitale e lavoro: davvero un bello scambio ineguale sostituire con una categoria usata nella psicanalisi il conflitto di classe!
Cerchiamo almeno di difendere la Carta Costituzionale.
Chi ha coraggio alzi la voce!

Grazia Paoletti - associazione Luigi Longo7/8/2008

A proposito del voto agli immigrati: democrazia rappresentativa e sistemi elettorali

In un sistema democratico occorre garantire il potere ed il controllo sul potere. Il contesto politico-costituzionale e partitico di un paese influenza la scelta del sistema elettorale e ne è a sua volta influenzato,con una relazione biunivoca. La struttura del sistema elettorale è cruciale per realizzare la vera democrazia rappresentativa, per dare a questo aggettivo un contenuto sostanziale.
In base al criterio della rappresentanza si possono definire i sistemi elettorali come forti o deboli, secondo l’ intensità della “attitudine manipolativa”, cioè la possibilità di condizionare o addirittura vincolare la scelta degli elettori: i sistemi deboli lasciano la più ampia libertà di scelta.
Il sistema più forte è il maggioritario a collegio uninominale secco, il più debole è il proporzionale di lista a collegio plurinominale con utilizzo dei resti nel collegio unico nazionale. Altri stanno in posizione intermedia secondo le correzioni introdotte.
La rappresentatività di un organismo si realizza quando esso rispecchia la composizione della società sottostante.
La qualità della rappresentanza democratica deriva da libere e periodiche elezioni che esprimono dei rappresentanti della società i quali devono rispondere agli elettori, verso i quali sono politicamente responsabili. Rappresentatività e responsabilità devono procedere di pari passo perché il sistema elettorale funzioni con equilibrio.
I sistemi deboli garantiscono alle assemblee elettive un elevato grado di rappresentatività, mentre i sistemi forti riducono il peso di tali assemblee.
Da tempo il sistema elettorale del nostro paese è andato progressivamente rafforzandosi con l’introduzione di modifiche successive, e conseguentemente si è ridotta la libertà di scelta dei cittadini. Inoltre attraverso il sistema elettorale si può, come si è già decisamente sperimentato, aggirare la Costituzione realizzando un rafforzamento del potere esecutivo, del capo del governo, a scapito del Parlamento e a dispetto della divisione dei poteri.
La rappresentanza proporzionale è un sistema “altamente fotografico” che riproduce esattamente la base dei cittadini elettori, cioè la composizione della società. Questo potrebbe dar luogo ad una pluralità di gruppi e di partiti in grado di disintegrare il sistema politico, a meno che non si introducano dei correttivi con strumenti elettorali o meglio politici: ad esempio un sistema forte di alleanze politiche, capace di deideologizzare il confronto concentrandosi sul “che fare”; naturalmente purchè l’alleanza funzioni.
Il problema di una legge elettorale adeguata a rappresentare tutti i cittadini si impone tanto più oggi quando i movimenti che vi sono nella società hanno acquistato un ruolo importante di per sé, al di fuori dei partiti, e gli elettori non accettano di essere manipolati attraverso marchingegni elettoralistici, come dimostra la variabilità delle astensioni a seconda del sistema di voto adottato. Uno di questi marchingegni, odiatissimo dagli elettori anche se caro agli apparati dei partiti, è l’abolizione delle preferenze nel proporzionale, dove le varie liste, da sole o in coalizione, sono presenti con i propri simboli e candidati: si blocca la lista, per cui dal capolista in giù i candidati sono eletti nell’ordine determinato dal partito, annullando ogni libertà di scelta dell’elettore in merito alle persone che nell’ambito del proprio partito ritiene più idonee a rappresentarlo, come è avvenuto ultimamente. Questo ha talvolta generato a livello sia nazionale che locale una perdita di voti del partito per disistima di alcuni candidati.
Si registra oggi una forte crisi di rappresentanza dei partiti. I quali peraltro possono riacquistare ruolo e senso solo nell’ottica dell’ art. 49 Cost., se attuano il dettato costituzionale in merito alla partecipazione dei cittadini ed alla democrazia: altrimenti appaiono, anzi sono, solo apparati per la gestione del potere, l’occupazione di posti e la relativa distribuzione. Così assistiamo a nomine e candidature fatte in base al criterio della “fedeltà”, che fa aggio su qualunque requisito di competenza, di professionalità, di legame con il territorio e con i relativi cittadini elettori, fino a vedere catapultare nei collegi candidati senza alcun collegamento con la realtà locale e le problematiche che dovrebbero andare a rappresentare. Tale legame è inesistente e, per il candidato con un posto in lista sicuro, irrilevante. Questo tipo di elezione genera dunque irresponsabilità negli eligendi e negli eletti, disaffezione alla politica negli gli elettori, per non parlare del disimpegno nella campagna elettorale di chi, al contrario, è conscio di essere solo un riempitivo di lista.
Si presume di poter ovviare a ciò attraverso elezioni primarie all’interno di ciascun partito o coalizione, che peraltro riguardano solo una parte dell’elettorato, e la scelta resta comunque condizionata poiché esse stesse sono manipolabili. Tuttavia in alcuni momenti le primarie hanno giocato, e possono giocare, un ruolo di supplenza della democrazia nei partiti. Sono talvolta necessarie, come una sorta di valvola di sfogo, appunto perché c’è una crisi di rappresentanza ed un deficit di democrazia nei partiti, che sfuggendo il dettato costituzionale non sono più promotori di partecipazione. Ma questa crisi va superata, perché il sistema democratico regge solo se c’è una scambievole e reale discussione nella società e nei partiti che la rappresentano ed una forte partecipazione di tutti i cittadini.
In tale ottica riconoscere il diritto di voto agli immigrati non comunitari stabilmente residenti nel nostro paese, i quali fra l’altro rappresentano una quota elevata dei cittadini residenti in alcuni comuni ed una quota elevata di lavoratori, i quali contribuiscono a produrre una quota elevata del prodotto nazionale, mi sembra una scelta politica e democratica sacrosanta.
Come mi sembra corretto che tale legge riguardi come minimo le elezioni amministrative, ma che alla luce delle ragioni indicate nulla osti ad una successiva estensione alle elezioni europee ed a quelle politiche.
Dunque il corpo elettorale deve comprendere a pieno diritto coloro che vivono stabilmente e lavorano nel paese, mandano i figli a scuola, fanno lavori pesanti ed inquinati che gli italiani rifiutano, curano i nostri anziani ed i figli piccoli delle donne che lavorano, pagano le tasse ed i contributi; insomma sono una fetta della società degna di godere a pieno dei diritti di cittadinanza e dei diritti politici.
E’ chiaro che in tale categoria non rientra chi vive nell’illegalità. Peraltro questo requisito appartiene anche ad alcuni italiani, i quali facilmente restano impuniti e comunque raramente perdono i diritti politici e l’elettorato attivo e passivo.

di Grazia Paoletti - Associazione Luigi Longo (pubblicato su Aprileonline.info del 9.9.2008
LA COSTITUZIONE E I DIRITTI INVIOLABILI DELLA PERSONA
Grazia Paoletti

INTERVENTO SVOLTO AD UNA INIZIATIVA SULLA COSTITUZIONE, PROMOSSA DA ARCIGAY ALLA FESTA DELL’UNITA’ DI BOLOGNA IL 13 9 2008, CON RAIMONDO RICCI, SERGIO DEL GIUDICE E GRAZIA PAOLETTI.

La Costituzione concepisce la democrazia come libertà di ciascuno e di tutti dentro un sistema di rapporti di reale uguaglianza, per cui lavoro, sapere, dignità della vita umana sono riconosciuti come bisogni e dunque tradotti in diritti di cui lo Stato e la società sono garanti ed ai quali devono dare piena risposta.[i]
La nostra Costituzione è la migliore mediazione raggiungibile fra soggetti –comunisti,socialisti, liberali, laici, cattolici ecc.- di diversa estrazione ideologica.
Oggi si ripropone in pieno per il nostro paese la questione della democrazia, che ha i suoi fondamenti nella Costituzione che assumiamo come riferimento irrinunciabile. Non a caso il revisionismo storico è tutto diretto a vanificare il senso storico e la portata democratica dell’antifascismo e della Resistenza. Assistiamo continuamente all’apologia del fascismo da parte di membri autorevoli di una forza di governo e si fa il tiro al bersaglio sul ’68. Mai prima d’ora le forme della vita culturale, dell’istruzione a tutti i livelli, della comunicazione, dell’organizzazione del lavoro e della divisione sociale di ogni tipo di attività, i comportamenti politici e culturali, erano stati così stravolti; mai si era verificato un attacco così netto al sapere critico, cui si sostituisce un sapere puramente operativo in una scuola sempre più di fatto orientata in funzione della cultura d’impresa.
Si stanno determinando e si sono determinati atti incostituzionali che hanno travolto la scuola pubblica imprigionandola nelle logiche della privatizzazione globale; si è messa la salute dei cittadini alla mercè dei privati, si è portato progressivamente la cultura, la ricerca, lo studio, lo spettacolo, la formazione, la comunicazione a dipendere sempre di più dal privato.
Nella società si assiste ad una estrema divisione degli uomini e delle donne in ricchi e poveri, questi ultimi progressivamente deprivati dei diritti che la prima parte della Costituzione riconosce a tutti i cittadini. Non c’è più posto per gli ideali e le parole d’ordine della rivoluzione borghese, per la libertà, la fraternità, l’uguaglianza. Si registra una scissione sempre più marcata tra i principi sanciti nella Carta Costituzionale e la loro effettiva attuazione.
Questo capitalismo mondializzato si porta dentro nella sua dinamica, nel suo comportamento, nella sua cultura, nella sua concezione e pratica del mondo, un nuovo fascismo.[ii]
Il nostro compito allora è quello di capire e disvelare tale situazione, attuare e difendere la Costituzione antifascista, di cui molti principi che vi sono enunciati sono ancora lettera morta, tanto da far usare l’espressione “democrazia ancora incompiuta”.[iii]

I primi articoli ci dicono tutto. La Carta garantisce i diritti inviolabili della persona, tutti i diritti naturali preesistenti alla formazione dello Stato: diritto di vivere, di muoversi, di parlare liberamente, di formarsi una famiglia, il diritto all’onore ed alla dignità personale ecc., sia come singolo che nelle formazioni sociali. A ciò corrisponde il dovere corrispettivo di garantirli agli altri, quindi rispetto della vita, dell’onore, della dignità, della libertà altrui.
Accanto alla uguaglianza di diritti di tutti i cittadini la Carta pone la uguaglianza di fatto, la pari dignità sociale e l’uguaglianza senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione,di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.
E si afferma che è compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l’uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del paese.
Successivamente la Costituzione specifica i diritti relativi ai rapporti civili, politici ed economici esplicitando e sostanziando le libertà dei cittadini.
Ma già l’art 3 con la frase “rimuovere gli ostacoli” implica che lo Stato deve permettere, anzi realizzare e favorire tutti i diritti di cui si è parlato, a cominciare dai diritti naturali. E qui allora, ad esempio, si vede come oltre che inaccettabile umanamente sia al di fuori dello spirito della Costituzione l’atteggiamento dell’attuale governo verso gli immigrati che non garantisce la dignità della persona, e analogamente i vari regolamenti locali contro gli ultimi, i lavavetri, i mendicanti. Tanto più sono fuori dallo spirito della Carta gli ostacoli contro le coppie di fatto comunque composte, l’impedire il diritto a formarsi una famiglia ed il non riconoscimento di dignità e di valore anche giuridico a legami stabili fra due persone qualunque sia il loro orientamento sessuale. In questo campo bisogna dire che non si sono distinti per ampiezza di vedute neanche i parlamenti ed i governi precedenti, grazie anche alle perenni forti interferenze del Vaticano nella politica italiana.
Ma sarebbero tanti gli esempi della creazione di ostacoli piuttosto che della rimozione di essi come impone la nostra bellissima Costituzione nel suo art.3.

[i]Per la prima parte dell’articolo sono debitrice a Luigi Pestalozza, organizzatore ed anima del convegno “La Costituzione e i poteri” Milano 1995, di cui sono pubblicati gli Atti nei Quaderni di Rifondazione febbraio 1996
[ii] Edward Luttwak cit.idem
[iii] Giuliano Pisapia. idem

mercoledì 15 ottobre 2008

PER IL PARTITO CHE ANCORA NON C'E'

di Grazia Paoletti e Piercarlo Albertosi*, 31 luglio 2008

La situazione politica nel Paese è molto grave. La scomparsa dei grandi partiti di massa ha portato ad un ventennio di progressiva instabilità che ha segnato la vita della Repubblica e che oggi potrebbe portare ad una affermazione della destra.
Le recenti vicende dimostrano che si stanno producendo effetti negativi anche sul processo di unità della sinistra a gran voce reclamato da milioni di elettori e a fatica avviato per la riottosità di qualche stato maggiore di partito della stessa sinistra.
Il 5 maggio e poi l' 8 e 9 dicembre 2007 hanno suscitato grandi aspettative nel popolo della sinistra, ma poi il processo si è bloccato. E' evidente che non tutti sembrano avere piena consapevolezza dei pericoli che sovrastano la sinistra, che non solo rischia la marginalizzazione ma addirittura l'implosione. Non si va da nessuna se si parte con una semplice alleanza elettorale: manca di appeal, non suscita entusiasmo, aspettative, fiducia, né quindi consenso. Il popolo della sinistra non si sente rappresentato da una frammentata manciata di partitini e l'astensionismo di sinistra è un rischio reale.
Non basta, perciò, parlare di confederazioni, di patti di unità di azione, di portavoci unici e di tutta quella congerie di marchingegni tattici che non aggrediscono a fondo il problema e che non sarebbero in grado di accendere nuove speranze né di infiammare i cuori. Chi ha coraggio lo tiri fuori ora e si esponga, se davvero crede all'unità.
La federazione è credibile solo, visti i tempi stretti, se si pone come un primo passo verso un partito unico della sinistra unita e plurale, un partito popolare e democratico, con un'etica, una struttura, una organizzazione, una disciplina interna. Un partito di governo, che ha un progetto di governo anche quando dovesse stare all'opposizione. Un grande partito, a cui guardano milioni di cittadini italiani, non può definirsi tale se non supera almeno il 10%; altrimenti resta un club.
Occorre oggi rompere gli indugi e compiere rapidamente un'accelerazione verso il processo unitario, abbandonando i deprimenti tatticismi ed i vecchi vizi da e del ceto politico.Occorre un'unità vera, un'unità che chiami alla partecipazione ed al protagonismo tutto il popolo della sinistra che va ben oltre gli iscritti ed i simpatizzanti degli attuali partiti. Un'unità che si costruisca su un progetto di trasformazione della società, sulla difesa dei ceti più deboli, sull'esercizio della democrazia e non solo sulle simbologie.
E' quindi indispensabile che la sinistra si presenti alle elezioni anticipate con una lista unica per dare il segno concreto della sua scelta irreversibile per l'unità, ma occorre aver chiara e comunicare esplicitamente agli elettori l'idea di voler conquistare voti per governare. Per far questo, oltre alla determinazione, ci vogliono decisioni coraggiose che non portino a scelte personalistiche e/o settarie. E' necessario indicare la volontà di ricercare una eventuale possibile alleanza con il Pd, da pari a pari, non subalterna, per costruire un nuovo centro-sinistra che faccia tesoro degli errori della esperienza dell'Unione; alleanza da costruire su punti condivisi, se ve ne saranno, nell'interesse del paese.Occorre quindi, come sta avvenendo in moltissimi territori, costruire in ogni parte dell'Italia quella sinistra unita, popolare, plurale e democratica che era stata la stella polare della grande Assemblea Nazionale del 8 e 9 dicembre scorso alla quale avevano dato piena adesione e si erano impegnati anche i quattro Partiti della sinistra.
La catastrofe elettorale e i congressi deprimenti recentemente terminati hanno ulteriormente peggiorato la situazione di frammentazione della sinistra e di disorientamento dei cittadini non direttamente coinvolti. Altro che mancanza di appeal! C'è il rischio fondato di disgustare per sempre il nostro popolo, che prima di essere considerato fatto di possibili elettori va visto come insieme di soggetti che non sanno più dove collocare le loro speranze e aspettative di mutamento della società, di una società che non piace e non accoglie; non sanno in chi avere fiducia, con chi e come concretamente operare.
Questo porta al qualunquismo, al grillismo, al riflusso localistico leghista, insomma a destra.E di questo siamo tutti responsabili, noi che ci diciamo o pensiamo sinistra.
Quindi basta con i marchingegni tattici. Tiriamo fuori un progetto credibile e attraente che dia speranza e quindi voglia di impegnarsi. Non osiamo adoperare il verbo "lottare": c'è molta strada lunga e faticosa da fare per arrivare a questo punto. Rinnoviamo però l'appello: chi ha coraggio si esponga, ma senza mire personali, per salvare una sinistra per l'Italia.Nei territori vi sono gruppi, associazioni e altro che lavorano e tentano di costruire forme nuove della politica, che purtroppo convivono con le vecchie oligarchie dei partiti in frantumi.Non sappiamo come si possa superare questo momento, salvo che parlando di contenuti, in modo costruttivo. Fare politica non "contro" ma "per".
*Associazione Luigi Longo

Riflessioni dopo la riunione del 20 settembre 2008

Finalmente il 20 settembre si è prodotta un'accelerazione del processo di ricostruzione della Sinistra evocato dall'assemblea del Palaeur il 5 maggio 2007. Questa accelerazione risponde alle aspettative di quel “popolo della sinistra” che si mostrò numeroso, entusiasta e disponibile all'obbiettivo di dar vita ad una Sinistra unita in Italia che mettesse insieme persone provenienti da esperienze politiche diverse. Molti degli intervenuti alla riunione hanno espresso con chiarezza l'indispensabilità di portare a buon fine l'obbiettivo della “Sinitra Unita”.
Tuttavia a leggere i commenti in alcuni blog relativi al 20 sett. dispiace e sconcerta che appaiano ancora alcune chiusure e preclusioni, segno non soltanto di immaturità (o infantilismo politico) ma anche di colpevole sottovalutazione della gravità del momento.
Eppure le indicazioni sono state chiare: iniziamo a costruire un soggetto politico di Sinistra, che abbia capacità di analisi, che sia in grado di elaborare un progetto di società e che si doti di strumenti per essere forza di governo e, perciò in grado di recuperare il consenso elettorale perduto negli ultimi anni e capace di costruire coerenti alleanze con le altre forze del centrosinistra. E' chiaro che a questo scopo sono necessarie una organizzazione ed una struttura, altrimenti la costruzione manca delle fondamenta per stare in piedi e funzionare.
Si è parlato di una struttura a rete, valida per la partecipazione diffusa e per collegarci fra di noi e sul territorio, ma non sufficiente di per sé a raggiungere e implicare tutto il popolo della sinistra: questo richiede di coinvolgerlo nelle proposte di soluzione, richiede democrazia interna, capacità di relazione, di ascolto, di dialogo, e radicamento sul territorio. Queste, oltre la capacità politica, dovrebbero essere le doti dei dirigenti, non la fedeltà di parte né l'obbedienza acritica come talvolta è avvenuto. La partecipazione non ha niente a che fare con il populismo, tanto meno con il plebiscitarismo; si tratta di convincere e non di vincere, ed in questo processo tutti gli interlocutori danno e ricevono qualcosa, ed alla fine sono diversi, hanno qualcosa in più.
Tutto questo evoca uno degli strumenti di analisi e conoscenza della realtà tradizionali della Sinistra, l’inchiesta, molto diffusa e praticata sul campo in un passato non molto remoto e che si è sempre rivelato una strumento efficace di coinvolgimento, di partecipazione e di discussione, che oggi è praticamente scomparso, sostituito dai sondaggi, estremamente distorcenti della realtà.
Oggi il nostro obbiettivo comune è la Costituente della Sinistra, da perseguire con urgenza, peraltro evitando gli obbiettivi intermedi politicisti che hanno distrutto la Sinistra arcobaleno, come ad esempio la formazione di liste prima di essere davvero UN soggetto politico. La sommatoria non funziona mai politicamente, e costruire un soggetto unico non è una passeggiata, ma è l’unica possibilità di avere nel paese una Sinistra, non autoreferenziale e con lo sguardo rivolto all'indietro. C'è bisogno di un Partito che si faccia carico dei problemi della realtà di oggi, di questo capitalismo globalizzato, diverso e peggiore rispetto a quello che abbiamo conosciuto nel dopoguerra.
Grazia Paoletti, Simona Zoccola - Associazione Luigi Longo