In vari interventi e discussioni su diversi siti on line si cita spesso la Costituzione Italiana, i suoi fondamenti, i principi ed i diritti che afferma. In effetti, nel panorama politico sbalestrato e frammentato nel quale si vive oggi, la nostra Carta appare come uno, anzi direi l’unico punto fermo da cui trarre qualche certezza. Non a caso i tentativi di smantellarla si ripetono periodicamente. Parimenti non a caso il Comitato per la difesa della Costituzione sia a livello nazionale che nelle sue diramazioni territoriali ha come obbiettivo prioritario la messa in salvaguardia della Costituzione stessa, attraverso una modifica dell’art.138 e delle maggioranze in esso previste, tale da impedirne il cambiamento da parte di una sola forza politica, cosa possibile in un Parlamento eletto con il sistema maggioritario.
La nostra Costituzione, con il modello di organizzazione politica ed economica ed il sistema sociale che essa prevede, è frutto di un compromesso alto fra classi contrapposte, fra forze economiche differenti rappresentate dai partiti politici presenti nel dopoguerra. Si tentò una sintesi tra bisogni e strategie delle suddette classi, in un contratto sociale che ha pochi uguali.
La Carta Costituzionale configura un progetto di tipo neocapitalistico, peraltro molto aperto ed articolato e con ampie venature di interclassismo. Infatti, durante i lavori della Ia sottocommissione, Togliatti riconosce che “si sta scrivendo una Costituzione…… corrispondente ad un periodo transitorio di lotta per un regime economico di coesistenza di differenti forze economiche……”. E Lelio Basso afferma, nella seduta del 6 marzo 1947 della Assemblea Costituente: ”Noi non abbiamo mai pensato che si potesse portare a questa Assemblea una Costituzione socialista… e questo proprio perché noi siamo socialisti e, come tali, abbiamo vivo il senso della storia…”.
Nei lavori della Ia sottocommissione nasce un accordo fra Togliatti, La Pira, Dossetti e Moro per introdurre forme di controllo sociale sulla vita economica, ma tale accordo fra la sinistra e l’ala progressista della Democrazia Cristiana in aula non tiene, per cui non si realizza quel ridimensionamento del potere economico privato e non si crea quel collegamento strutturale fra l’art.4 comma 1, il diritto al lavoro, e l’art.41 comma 3, poteri di indirizzare e coordinare l’attività economica a fini sociali, che avrebbe invece dato maggior sostanza all’affermazione dell’art.1: “L’Italia è una repubblica democratica fondata sul lavoro”. L’art.41 pone l’iniziativa privata e quella pubblica su un piano di parità, mentre la dottrina economica del fascismo attribuiva alla libertà di iniziativa privata il primato su quella pubblica, che assumeva così un carattere subalterno. Ed oggi con un notevole passo indietro siamo di nuovo a questo punto. Purtroppo la Costituzione, frutto di un compromesso seppure alto, non ha definito la strumentazione utilizzabile dallo Stato per operare nell’economia, per cui le successive norme sono state strettamente legate ai rapporti di forza esistenti di volta in volta nel paese. Ed inoltre, in base alla Carta Costituzionale, lo Stato può intervenire nell’economia, ma non sull’economia, cioè sul modo di produzione.
Il problema dell’oggi è il mutamento dei rapporti di forza che hanno segnato un massiccio regresso, la ideologia del mercato è stata massicciamente introiettata dai lavoratori, anche per la pervasività dei mass-media convenientemente orientati e la colpevole debolezza della sinistra che ha portato al punto in cui siamo. Anche oggi alcune delle forze democratiche non sono ostili ad accordi con la destra per le riforme costituzionali.
Se si mettesse oggi mano a modifiche costituzionali verrebbero cancellati tutti i possibili spazi dei contropoteri in campo economico che la Costituzione aveva lasciato, peraltro mai riempiti quando i rapporti di forza erano più favorevoli ai lavoratori, e soprattutto verrebbero eliminati molti diritti fondamentali. Mentre invece molti di noi avrebbero desiderato vedere introdotte nella Costituzione ad esempio le tematiche dell’ambiente, della comunicazione, del progresso tecnologico e del suo uso ecc..
Il peggio è che di fronte alla marea montante della povertà e dei bisogni sociali oggi presenti nel nostro paese si sta procedendo, con brutale rapidità ed impunemente, allo smantellamento dello stato sociale, della struttura dello Stato stesso e della democrazia.
Il ministro del welfare propone di favorire la “complicità” fra capitale e lavoro: davvero un bello scambio ineguale sostituire con una categoria usata nella psicanalisi il conflitto di classe!
Cerchiamo almeno di difendere la Carta Costituzionale.
Chi ha coraggio alzi la voce!
Grazia Paoletti - associazione Luigi Longo7/8/2008
La nostra Costituzione, con il modello di organizzazione politica ed economica ed il sistema sociale che essa prevede, è frutto di un compromesso alto fra classi contrapposte, fra forze economiche differenti rappresentate dai partiti politici presenti nel dopoguerra. Si tentò una sintesi tra bisogni e strategie delle suddette classi, in un contratto sociale che ha pochi uguali.
La Carta Costituzionale configura un progetto di tipo neocapitalistico, peraltro molto aperto ed articolato e con ampie venature di interclassismo. Infatti, durante i lavori della Ia sottocommissione, Togliatti riconosce che “si sta scrivendo una Costituzione…… corrispondente ad un periodo transitorio di lotta per un regime economico di coesistenza di differenti forze economiche……”. E Lelio Basso afferma, nella seduta del 6 marzo 1947 della Assemblea Costituente: ”Noi non abbiamo mai pensato che si potesse portare a questa Assemblea una Costituzione socialista… e questo proprio perché noi siamo socialisti e, come tali, abbiamo vivo il senso della storia…”.
Nei lavori della Ia sottocommissione nasce un accordo fra Togliatti, La Pira, Dossetti e Moro per introdurre forme di controllo sociale sulla vita economica, ma tale accordo fra la sinistra e l’ala progressista della Democrazia Cristiana in aula non tiene, per cui non si realizza quel ridimensionamento del potere economico privato e non si crea quel collegamento strutturale fra l’art.4 comma 1, il diritto al lavoro, e l’art.41 comma 3, poteri di indirizzare e coordinare l’attività economica a fini sociali, che avrebbe invece dato maggior sostanza all’affermazione dell’art.1: “L’Italia è una repubblica democratica fondata sul lavoro”. L’art.41 pone l’iniziativa privata e quella pubblica su un piano di parità, mentre la dottrina economica del fascismo attribuiva alla libertà di iniziativa privata il primato su quella pubblica, che assumeva così un carattere subalterno. Ed oggi con un notevole passo indietro siamo di nuovo a questo punto. Purtroppo la Costituzione, frutto di un compromesso seppure alto, non ha definito la strumentazione utilizzabile dallo Stato per operare nell’economia, per cui le successive norme sono state strettamente legate ai rapporti di forza esistenti di volta in volta nel paese. Ed inoltre, in base alla Carta Costituzionale, lo Stato può intervenire nell’economia, ma non sull’economia, cioè sul modo di produzione.
Il problema dell’oggi è il mutamento dei rapporti di forza che hanno segnato un massiccio regresso, la ideologia del mercato è stata massicciamente introiettata dai lavoratori, anche per la pervasività dei mass-media convenientemente orientati e la colpevole debolezza della sinistra che ha portato al punto in cui siamo. Anche oggi alcune delle forze democratiche non sono ostili ad accordi con la destra per le riforme costituzionali.
Se si mettesse oggi mano a modifiche costituzionali verrebbero cancellati tutti i possibili spazi dei contropoteri in campo economico che la Costituzione aveva lasciato, peraltro mai riempiti quando i rapporti di forza erano più favorevoli ai lavoratori, e soprattutto verrebbero eliminati molti diritti fondamentali. Mentre invece molti di noi avrebbero desiderato vedere introdotte nella Costituzione ad esempio le tematiche dell’ambiente, della comunicazione, del progresso tecnologico e del suo uso ecc..
Il peggio è che di fronte alla marea montante della povertà e dei bisogni sociali oggi presenti nel nostro paese si sta procedendo, con brutale rapidità ed impunemente, allo smantellamento dello stato sociale, della struttura dello Stato stesso e della democrazia.
Il ministro del welfare propone di favorire la “complicità” fra capitale e lavoro: davvero un bello scambio ineguale sostituire con una categoria usata nella psicanalisi il conflitto di classe!
Cerchiamo almeno di difendere la Carta Costituzionale.
Chi ha coraggio alzi la voce!
Grazia Paoletti - associazione Luigi Longo7/8/2008
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