mercoledì 26 novembre 2008

Per la costituente della sinistra

1 - La comunità internazionale si trova a fronteggiare un disastro finanziario di dimensioni planetarie ed una pesante recessione economica che testimoniano il fallimento del neoliberismo imposto universalmente dopo la caduta del muro di Berlino. Da decenni la globalizzazione di un mercato privo di regole e di valori etici ha sottoposto il pianeta ai rischi di guerre permanenti, di disastro ambientale e di scontro di civiltà, mentre - parallelamente - le condizioni materiali di vita di milioni di persone sono costantemente peggiorate. Oggi questa versione aggressiva ed immorale del capitalismo tenta di salvarsi invocando l’intervento pubblico e politiche “stataliste”.
2 - Nel momento più alto della crisi del capitalismo si assiste, però, alla debolezza estrema della sinistra in Europa e soprattutto nel nostro Paese anche a causa della sua storica frammentazione. Invece c’è bisogno di un soggetto politico di sinistra in grado di dare rappresentanza e risposte alle istanze di persone, movimenti, associazioni, di tante forze che si muovono nella società con l’obbiettivo di trasformarla. A questa situazione è urgente reagire ricostruendo una Sinistra in grado di mobilitare, di orientare, di progettare alternative di sviluppo sociale ed economico e, soprattutto, in grado di richiamare alla partecipazione i milioni di elettori e di simpatizzanti delusi che negli ultimi anni si sono allontanati.
3 - La crisi politica ed istituzionale che si è prodotta nel nostro Paese impone a tutti di superare il richiamo a chiudersi nelle “sicurezze” identitarie e di contribuire a rimettere in moto un processo popolare, democratico e partecipato che abbia lo scopo di costruire una “forza grande ed autonoma, capace di competere per l’egemonia”. Un processo che avrebbe dovuto nascere con la Sinistra Arcobaleno e che invece è stato mortificato dalla paura e dall’egoismo dei partiti della sinistra storica che l’hanno ridotto a mero cartello elettorale.
4 - I Congressi dei partiti della sinistra non hanno voluto ascoltare il messaggio arrivato dal popolo della sinistra con le elezioni del 13 e 14 aprile e ciò dà il segno della inadeguatezza delle loro attuali classi dirigenti e dei rischi di definitiva scomparsa di una sinistra organizzativamente forte e, quindi, politicamente utile. Il distacco dalla politica e dalle istituzioni di tanti elettori di sinistra e la profonda crisi sociale rischiano di saldarsi tra di loro aprendo nel Paese una prospettiva carica di incognite. C’è una emergenza democratica cui si può rispondere solo attraverso la profonda trasformazione del nostro stesso agire politico: muovendo dal lavoro, dalla scuola, dalle forme di autorganizzazione democratica presenti nel territorio e nella società per ricostruire una nuova ed unificata forza politica - cioè un nuovo partito – che, con un progetto di società, una struttura e saldezza organizzativa, si caratterizzi per modernità di analisi e di proposta, per nuove e moderne regole di vita democratica, ed abbia così la capacità di rimettere in attività centinaia di migliaia di elettori e di militanti .
5 - E’ pertanto necessario sciogliere ogni ambiguità insita nell’appartenere strutturalmente ad uno dei partiti esistenti, poiché riteniamo che ciò renda più liberi di agire nella battaglia politica, affinché si affermi dovunque e prenda forza l’esigenza di dar vita ad una “Costituente della Sinistra”, per un nuovo partito che superi la frammentazione di oggi, evitando che ci si limiti ad una mistificante unità “federativa”, che ricondurrebbe la democrazia e la partecipazione nelle secche dei rapporti tra le vecchie appartenenze.

Piercarlo Albertosi, Simona Zoccola, Grazia Paoletti, Giuseppe Battistini, Luca Perfetti, Andrea Bragazzi, Roberto Vanelli, Renato Piccinini, Alessandra Marchetti

domenica 23 novembre 2008

Marx rientra in campo

di Grazia Paoletti - Associazione Luigi Longo

Con le elezioni del 13-14 aprile la sinistra parlamentare è scomparsa, ma la sinistra nel paese sta ripartendo: vi sono idee, istanze, bisogni, più o meno esplicitamente espressi da movimenti, gruppi, associazioni, singole persone che si muovono e incarnano la sinistra; ma manca “LA SINISTRA”. Cioè si può dire che c’è ed è chiaro l’oggetto ma manca il soggetto.i Ed è questo che dobbiamo ricostruire. E’ indispensabile offrire una rappresentanza a chi si sente, a chi si dice, “di sinistra”; se questo non accade, e non accade ora, si approfondirà il deficit democratico del paese.
Infatti bisogna aver chiaro che il berlusconismo ha vinto sul piano culturale ancor prima che sul piano politico. Il disegno contenuto nel piano di rinascita nazionale della P2 mirava appunto a distruggere una cultura ed una prassi politica che avevano le radici nell’antifascismo,nella lotta di liberazione e nella Resistenza.
Pertanto è necessario un forte impegno per ristabilire i valori, le idee forza della sinistra, per far riemergere addirittura un senso comune di sinistra. E non sarà un impegno a breve.
Innanzi tutto è necessario che si abbia, e si espliciti, un progetto politico, una visione di società, nuova e diversa, che risponda alle istanze delle forze che si muovono nella società, ed inoltre una organizzazione ed una struttura per dare le gambe a tale progetto.
Tutto ciò è mancato alla Sinistra Arcobaleno che era un raggruppamento di oligarchie di partiti.
L’obbiettivo è l’unificazione reale e non fittizia delle forze a sinistra del PD, con l’obbiettivo di un grande Partito della Sinistra Italiana.
Un Partito con una cultura di governo, riformista e plurale, che si confronti con il PD per riportare la sinistra, oggi fuori giuoco, al governo del paese.
Il primo passo per ricostituire oggi un pensiero di sinistra consiste nel rilanciare la critica dell’economia.
Di fronte alla crisi, peraltro da lungo tempo prevista dagli economisti di sinistra, tutti invocano lo Stato; fino a ieri si giurava sul mercato e la sua mano invisibile come capaci di realizzare il migliore dei mondi possibile. Ma il mercato degli economisti è una astrazione, mentre invece è reale il campo dell’economia dove si attua la lotta di classe e vince il più forte. Purtroppo nell’epoca della globalizzazione proprietaria la lotta di classe è scomparsa dal lessico e persino dal senso comune.
Ma a più di un secolo di distanza le analisi, le categorie, i concetti di Marx sono tutti in campo: il lavoro come merce, la estrazione e l’appropriazione del plusvalore da parte dei capitalisti, dunque lo sfruttamento, la speculazione finanziaria, cioè l’accrescimento del denaro a mezzo del denaro invece che attraverso la produzione di merci a mezzo di merci, realizzata dalla combinazione di capitale e lavoro. Come conseguenza, la distribuzione del reddito a profitti a scapito del salario e soprattutto a rendite finanziarie. E poi, come previsto da tempo dagli economisti di sinistra compreso il Premio Nobel 2008 Paul Krugman, la crisi. Come è noto, Marx parlava della speculazione finanziaria e prevedeva (seppure con modalità diverse) la crisi del capitalismo.
“Scoprendo il ruolo che il denaro ha nelle crisi Marx fornisce due spunti analitici che a Keynes basteranno per una teoria generale” sostiene Giorgio Lunghiniii; e approfondisce questi principi di analisi affermando che Keynes soprattutto vede nelle crisi “le temporanee e violente soluzioni delle contraddizioni esistenti”, come diceva Marx.
Bisogna dunque riappropriarsi di queste categorie di analisi e trasmetterle per farle diventare senso comune, ovviamente aggiornando il linguaggio e le forme della comunicazione, e tenendo conto del contesto storico profondamente mutato, ma non tale da inficiarne la validità. Dobbiamo utilizzarle per l’analisi, allo scopo di elaborare un progetto di società adeguato ai tempi e delle proposte concrete di interventi e provvedimenti. Questo intendo per cultura di governo.
In realtà Marx non è mai uscito dal campo, anche se si è tentato di metterlo da parte; la sua analisi della società, pur a circa un secolo e mezzo di distanza, non ha perso validità; anzi i fenomeni descritti, con il rafforzamento del sistema capitalistico e la globalizzazione, hanno acquistato maggior evidenza e gravità.
Il ritorno in campo di Karl Marx sta avvenendo in molti paesi europei: addirittura il vescovo di Monaco di Baviera e di Freising (che del tutto per caso si chiama Marx di cognome) ha scritto che “abbiamo gettato troppo in fretta alle ortiche le sue opere”, e che la crisi finanziaria mostra come a volte “la libertà abbia bisogno di confini”. In ben 31 università della Germania sono stati reintrodotti corsi di marxismo.
Il 21 ottobre sul The Times, il più famoso quotidiano inglese, i cui lettori sono molto conservatori, è uscito un articolo intitolato “Karl Marx ci ha del tutto azzeccato?” (libera traduzione per rendere il tono del titolo), con un sottotitolo che esplicita (idem libera traduzione): “Mentre i mercati finanziari crollano la reputazione di Karl Marx torna a galla. Allora finalmente è venuto il suo tempo? L’autore esamina l’evidenza, mentre altri commentatori di sinistra ne discutono la validità”.
E si è aperto un interessantissimo dibattito. Si chiedeva anche di pronunciarsi a favore o contro, ed il 48% del lettori del Times, pur fortemente conservatori, ha votato in favore di Marx, che “ci aveva azzeccato”.
(Allo scopo di rimettere Marx in campo, o più precisamente di reintrodurre nel senso comune almeno della sinistra il lessico, le categorie e gli strumenti di analisi (ricordate la “cassetta degli attrezzi” di Marx? L’espressione è di Jean Robinson), si richiamano alcune definizioni e concetti base.
Nella società i produttori svolgono il lavoro necessario, quello effettuato per il mantenimento dei produttori stessi, che genera il cosiddetto prodotto necessario per la loro riproduzione. Ogni aumento della produttività genera poi un surplus, un sovraprodotto sociale, frutto del pluslavoro dei produttori, di cui si appropria la classe dominante, così liberata dalla necessità di lavorare per il proprio mantenimento. Da qui nasce la divisione sociale ed il conflitto di classe per la distribuzione del surplus. La forma monetaria del sovraprodotto sociale si chiama plusvalore.iii Chiaramente esso deriva da una appropriazione gratuita da parte della classe dominante di una parte della produzione della classe produttiva, a cui si corrisponde un salario per il proprio mantenimento corrispondente solo ad una frazione delle sue ore di lavoro, dunque inferiore al valore del suo prodotto. La differenza è appunto il plusvalore di cui si appropria il capitalista senza alcun equivalente, dando luogo allo sfruttamento..
L’alienazione dei produttori nasce da una frattura fra il lavoratore ed il suo prodotto, una merce, destinata non all’uso dello stesso produttore ma al mercato. La produzione e lo scambio delle merci si misurano e si regolano in ore di lavoro.Il valore di una merce dipende dalla quantità di lavoro socialmente necessario per produrla.)
i Fabio Mussi. intervento alla riunione per la Costituente della Sinistra a Scandicci 15/10/08
ii Giorgio Lunghini La crisi dell’3conomia politica e la teoria del valore.
Feltrinelli 1977
iii Ernest Mandel Che cosa è la teoria marxista della economia?
Samonà e Savelli 1969

giovedì 30 ottobre 2008

Difendiamo la costituzione: un compromesso alto fra classi sociali contrapposte

In vari interventi e discussioni su diversi siti on line si cita spesso la Costituzione Italiana, i suoi fondamenti, i principi ed i diritti che afferma. In effetti, nel panorama politico sbalestrato e frammentato nel quale si vive oggi, la nostra Carta appare come uno, anzi direi l’unico punto fermo da cui trarre qualche certezza. Non a caso i tentativi di smantellarla si ripetono periodicamente. Parimenti non a caso il Comitato per la difesa della Costituzione sia a livello nazionale che nelle sue diramazioni territoriali ha come obbiettivo prioritario la messa in salvaguardia della Costituzione stessa, attraverso una modifica dell’art.138 e delle maggioranze in esso previste, tale da impedirne il cambiamento da parte di una sola forza politica, cosa possibile in un Parlamento eletto con il sistema maggioritario.
La nostra Costituzione, con il modello di organizzazione politica ed economica ed il sistema sociale che essa prevede, è frutto di un compromesso alto fra classi contrapposte, fra forze economiche differenti rappresentate dai partiti politici presenti nel dopoguerra. Si tentò una sintesi tra bisogni e strategie delle suddette classi, in un contratto sociale che ha pochi uguali.
La Carta Costituzionale configura un progetto di tipo neocapitalistico, peraltro molto aperto ed articolato e con ampie venature di interclassismo. Infatti, durante i lavori della Ia sottocommissione, Togliatti riconosce che “si sta scrivendo una Costituzione…… corrispondente ad un periodo transitorio di lotta per un regime economico di coesistenza di differenti forze economiche……”. E Lelio Basso afferma, nella seduta del 6 marzo 1947 della Assemblea Costituente: ”Noi non abbiamo mai pensato che si potesse portare a questa Assemblea una Costituzione socialista… e questo proprio perché noi siamo socialisti e, come tali, abbiamo vivo il senso della storia…”.
Nei lavori della Ia sottocommissione nasce un accordo fra Togliatti, La Pira, Dossetti e Moro per introdurre forme di controllo sociale sulla vita economica, ma tale accordo fra la sinistra e l’ala progressista della Democrazia Cristiana in aula non tiene, per cui non si realizza quel ridimensionamento del potere economico privato e non si crea quel collegamento strutturale fra l’art.4 comma 1, il diritto al lavoro, e l’art.41 comma 3, poteri di indirizzare e coordinare l’attività economica a fini sociali, che avrebbe invece dato maggior sostanza all’affermazione dell’art.1: “L’Italia è una repubblica democratica fondata sul lavoro”. L’art.41 pone l’iniziativa privata e quella pubblica su un piano di parità, mentre la dottrina economica del fascismo attribuiva alla libertà di iniziativa privata il primato su quella pubblica, che assumeva così un carattere subalterno. Ed oggi con un notevole passo indietro siamo di nuovo a questo punto. Purtroppo la Costituzione, frutto di un compromesso seppure alto, non ha definito la strumentazione utilizzabile dallo Stato per operare nell’economia, per cui le successive norme sono state strettamente legate ai rapporti di forza esistenti di volta in volta nel paese. Ed inoltre, in base alla Carta Costituzionale, lo Stato può intervenire nell’economia, ma non sull’economia, cioè sul modo di produzione.
Il problema dell’oggi è il mutamento dei rapporti di forza che hanno segnato un massiccio regresso, la ideologia del mercato è stata massicciamente introiettata dai lavoratori, anche per la pervasività dei mass-media convenientemente orientati e la colpevole debolezza della sinistra che ha portato al punto in cui siamo. Anche oggi alcune delle forze democratiche non sono ostili ad accordi con la destra per le riforme costituzionali.
Se si mettesse oggi mano a modifiche costituzionali verrebbero cancellati tutti i possibili spazi dei contropoteri in campo economico che la Costituzione aveva lasciato, peraltro mai riempiti quando i rapporti di forza erano più favorevoli ai lavoratori, e soprattutto verrebbero eliminati molti diritti fondamentali. Mentre invece molti di noi avrebbero desiderato vedere introdotte nella Costituzione ad esempio le tematiche dell’ambiente, della comunicazione, del progresso tecnologico e del suo uso ecc..
Il peggio è che di fronte alla marea montante della povertà e dei bisogni sociali oggi presenti nel nostro paese si sta procedendo, con brutale rapidità ed impunemente, allo smantellamento dello stato sociale, della struttura dello Stato stesso e della democrazia.
Il ministro del welfare propone di favorire la “complicità” fra capitale e lavoro: davvero un bello scambio ineguale sostituire con una categoria usata nella psicanalisi il conflitto di classe!
Cerchiamo almeno di difendere la Carta Costituzionale.
Chi ha coraggio alzi la voce!

Grazia Paoletti - associazione Luigi Longo7/8/2008

A proposito del voto agli immigrati: democrazia rappresentativa e sistemi elettorali

In un sistema democratico occorre garantire il potere ed il controllo sul potere. Il contesto politico-costituzionale e partitico di un paese influenza la scelta del sistema elettorale e ne è a sua volta influenzato,con una relazione biunivoca. La struttura del sistema elettorale è cruciale per realizzare la vera democrazia rappresentativa, per dare a questo aggettivo un contenuto sostanziale.
In base al criterio della rappresentanza si possono definire i sistemi elettorali come forti o deboli, secondo l’ intensità della “attitudine manipolativa”, cioè la possibilità di condizionare o addirittura vincolare la scelta degli elettori: i sistemi deboli lasciano la più ampia libertà di scelta.
Il sistema più forte è il maggioritario a collegio uninominale secco, il più debole è il proporzionale di lista a collegio plurinominale con utilizzo dei resti nel collegio unico nazionale. Altri stanno in posizione intermedia secondo le correzioni introdotte.
La rappresentatività di un organismo si realizza quando esso rispecchia la composizione della società sottostante.
La qualità della rappresentanza democratica deriva da libere e periodiche elezioni che esprimono dei rappresentanti della società i quali devono rispondere agli elettori, verso i quali sono politicamente responsabili. Rappresentatività e responsabilità devono procedere di pari passo perché il sistema elettorale funzioni con equilibrio.
I sistemi deboli garantiscono alle assemblee elettive un elevato grado di rappresentatività, mentre i sistemi forti riducono il peso di tali assemblee.
Da tempo il sistema elettorale del nostro paese è andato progressivamente rafforzandosi con l’introduzione di modifiche successive, e conseguentemente si è ridotta la libertà di scelta dei cittadini. Inoltre attraverso il sistema elettorale si può, come si è già decisamente sperimentato, aggirare la Costituzione realizzando un rafforzamento del potere esecutivo, del capo del governo, a scapito del Parlamento e a dispetto della divisione dei poteri.
La rappresentanza proporzionale è un sistema “altamente fotografico” che riproduce esattamente la base dei cittadini elettori, cioè la composizione della società. Questo potrebbe dar luogo ad una pluralità di gruppi e di partiti in grado di disintegrare il sistema politico, a meno che non si introducano dei correttivi con strumenti elettorali o meglio politici: ad esempio un sistema forte di alleanze politiche, capace di deideologizzare il confronto concentrandosi sul “che fare”; naturalmente purchè l’alleanza funzioni.
Il problema di una legge elettorale adeguata a rappresentare tutti i cittadini si impone tanto più oggi quando i movimenti che vi sono nella società hanno acquistato un ruolo importante di per sé, al di fuori dei partiti, e gli elettori non accettano di essere manipolati attraverso marchingegni elettoralistici, come dimostra la variabilità delle astensioni a seconda del sistema di voto adottato. Uno di questi marchingegni, odiatissimo dagli elettori anche se caro agli apparati dei partiti, è l’abolizione delle preferenze nel proporzionale, dove le varie liste, da sole o in coalizione, sono presenti con i propri simboli e candidati: si blocca la lista, per cui dal capolista in giù i candidati sono eletti nell’ordine determinato dal partito, annullando ogni libertà di scelta dell’elettore in merito alle persone che nell’ambito del proprio partito ritiene più idonee a rappresentarlo, come è avvenuto ultimamente. Questo ha talvolta generato a livello sia nazionale che locale una perdita di voti del partito per disistima di alcuni candidati.
Si registra oggi una forte crisi di rappresentanza dei partiti. I quali peraltro possono riacquistare ruolo e senso solo nell’ottica dell’ art. 49 Cost., se attuano il dettato costituzionale in merito alla partecipazione dei cittadini ed alla democrazia: altrimenti appaiono, anzi sono, solo apparati per la gestione del potere, l’occupazione di posti e la relativa distribuzione. Così assistiamo a nomine e candidature fatte in base al criterio della “fedeltà”, che fa aggio su qualunque requisito di competenza, di professionalità, di legame con il territorio e con i relativi cittadini elettori, fino a vedere catapultare nei collegi candidati senza alcun collegamento con la realtà locale e le problematiche che dovrebbero andare a rappresentare. Tale legame è inesistente e, per il candidato con un posto in lista sicuro, irrilevante. Questo tipo di elezione genera dunque irresponsabilità negli eligendi e negli eletti, disaffezione alla politica negli gli elettori, per non parlare del disimpegno nella campagna elettorale di chi, al contrario, è conscio di essere solo un riempitivo di lista.
Si presume di poter ovviare a ciò attraverso elezioni primarie all’interno di ciascun partito o coalizione, che peraltro riguardano solo una parte dell’elettorato, e la scelta resta comunque condizionata poiché esse stesse sono manipolabili. Tuttavia in alcuni momenti le primarie hanno giocato, e possono giocare, un ruolo di supplenza della democrazia nei partiti. Sono talvolta necessarie, come una sorta di valvola di sfogo, appunto perché c’è una crisi di rappresentanza ed un deficit di democrazia nei partiti, che sfuggendo il dettato costituzionale non sono più promotori di partecipazione. Ma questa crisi va superata, perché il sistema democratico regge solo se c’è una scambievole e reale discussione nella società e nei partiti che la rappresentano ed una forte partecipazione di tutti i cittadini.
In tale ottica riconoscere il diritto di voto agli immigrati non comunitari stabilmente residenti nel nostro paese, i quali fra l’altro rappresentano una quota elevata dei cittadini residenti in alcuni comuni ed una quota elevata di lavoratori, i quali contribuiscono a produrre una quota elevata del prodotto nazionale, mi sembra una scelta politica e democratica sacrosanta.
Come mi sembra corretto che tale legge riguardi come minimo le elezioni amministrative, ma che alla luce delle ragioni indicate nulla osti ad una successiva estensione alle elezioni europee ed a quelle politiche.
Dunque il corpo elettorale deve comprendere a pieno diritto coloro che vivono stabilmente e lavorano nel paese, mandano i figli a scuola, fanno lavori pesanti ed inquinati che gli italiani rifiutano, curano i nostri anziani ed i figli piccoli delle donne che lavorano, pagano le tasse ed i contributi; insomma sono una fetta della società degna di godere a pieno dei diritti di cittadinanza e dei diritti politici.
E’ chiaro che in tale categoria non rientra chi vive nell’illegalità. Peraltro questo requisito appartiene anche ad alcuni italiani, i quali facilmente restano impuniti e comunque raramente perdono i diritti politici e l’elettorato attivo e passivo.

di Grazia Paoletti - Associazione Luigi Longo (pubblicato su Aprileonline.info del 9.9.2008
LA COSTITUZIONE E I DIRITTI INVIOLABILI DELLA PERSONA
Grazia Paoletti

INTERVENTO SVOLTO AD UNA INIZIATIVA SULLA COSTITUZIONE, PROMOSSA DA ARCIGAY ALLA FESTA DELL’UNITA’ DI BOLOGNA IL 13 9 2008, CON RAIMONDO RICCI, SERGIO DEL GIUDICE E GRAZIA PAOLETTI.

La Costituzione concepisce la democrazia come libertà di ciascuno e di tutti dentro un sistema di rapporti di reale uguaglianza, per cui lavoro, sapere, dignità della vita umana sono riconosciuti come bisogni e dunque tradotti in diritti di cui lo Stato e la società sono garanti ed ai quali devono dare piena risposta.[i]
La nostra Costituzione è la migliore mediazione raggiungibile fra soggetti –comunisti,socialisti, liberali, laici, cattolici ecc.- di diversa estrazione ideologica.
Oggi si ripropone in pieno per il nostro paese la questione della democrazia, che ha i suoi fondamenti nella Costituzione che assumiamo come riferimento irrinunciabile. Non a caso il revisionismo storico è tutto diretto a vanificare il senso storico e la portata democratica dell’antifascismo e della Resistenza. Assistiamo continuamente all’apologia del fascismo da parte di membri autorevoli di una forza di governo e si fa il tiro al bersaglio sul ’68. Mai prima d’ora le forme della vita culturale, dell’istruzione a tutti i livelli, della comunicazione, dell’organizzazione del lavoro e della divisione sociale di ogni tipo di attività, i comportamenti politici e culturali, erano stati così stravolti; mai si era verificato un attacco così netto al sapere critico, cui si sostituisce un sapere puramente operativo in una scuola sempre più di fatto orientata in funzione della cultura d’impresa.
Si stanno determinando e si sono determinati atti incostituzionali che hanno travolto la scuola pubblica imprigionandola nelle logiche della privatizzazione globale; si è messa la salute dei cittadini alla mercè dei privati, si è portato progressivamente la cultura, la ricerca, lo studio, lo spettacolo, la formazione, la comunicazione a dipendere sempre di più dal privato.
Nella società si assiste ad una estrema divisione degli uomini e delle donne in ricchi e poveri, questi ultimi progressivamente deprivati dei diritti che la prima parte della Costituzione riconosce a tutti i cittadini. Non c’è più posto per gli ideali e le parole d’ordine della rivoluzione borghese, per la libertà, la fraternità, l’uguaglianza. Si registra una scissione sempre più marcata tra i principi sanciti nella Carta Costituzionale e la loro effettiva attuazione.
Questo capitalismo mondializzato si porta dentro nella sua dinamica, nel suo comportamento, nella sua cultura, nella sua concezione e pratica del mondo, un nuovo fascismo.[ii]
Il nostro compito allora è quello di capire e disvelare tale situazione, attuare e difendere la Costituzione antifascista, di cui molti principi che vi sono enunciati sono ancora lettera morta, tanto da far usare l’espressione “democrazia ancora incompiuta”.[iii]

I primi articoli ci dicono tutto. La Carta garantisce i diritti inviolabili della persona, tutti i diritti naturali preesistenti alla formazione dello Stato: diritto di vivere, di muoversi, di parlare liberamente, di formarsi una famiglia, il diritto all’onore ed alla dignità personale ecc., sia come singolo che nelle formazioni sociali. A ciò corrisponde il dovere corrispettivo di garantirli agli altri, quindi rispetto della vita, dell’onore, della dignità, della libertà altrui.
Accanto alla uguaglianza di diritti di tutti i cittadini la Carta pone la uguaglianza di fatto, la pari dignità sociale e l’uguaglianza senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione,di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.
E si afferma che è compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l’uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del paese.
Successivamente la Costituzione specifica i diritti relativi ai rapporti civili, politici ed economici esplicitando e sostanziando le libertà dei cittadini.
Ma già l’art 3 con la frase “rimuovere gli ostacoli” implica che lo Stato deve permettere, anzi realizzare e favorire tutti i diritti di cui si è parlato, a cominciare dai diritti naturali. E qui allora, ad esempio, si vede come oltre che inaccettabile umanamente sia al di fuori dello spirito della Costituzione l’atteggiamento dell’attuale governo verso gli immigrati che non garantisce la dignità della persona, e analogamente i vari regolamenti locali contro gli ultimi, i lavavetri, i mendicanti. Tanto più sono fuori dallo spirito della Carta gli ostacoli contro le coppie di fatto comunque composte, l’impedire il diritto a formarsi una famiglia ed il non riconoscimento di dignità e di valore anche giuridico a legami stabili fra due persone qualunque sia il loro orientamento sessuale. In questo campo bisogna dire che non si sono distinti per ampiezza di vedute neanche i parlamenti ed i governi precedenti, grazie anche alle perenni forti interferenze del Vaticano nella politica italiana.
Ma sarebbero tanti gli esempi della creazione di ostacoli piuttosto che della rimozione di essi come impone la nostra bellissima Costituzione nel suo art.3.

[i]Per la prima parte dell’articolo sono debitrice a Luigi Pestalozza, organizzatore ed anima del convegno “La Costituzione e i poteri” Milano 1995, di cui sono pubblicati gli Atti nei Quaderni di Rifondazione febbraio 1996
[ii] Edward Luttwak cit.idem
[iii] Giuliano Pisapia. idem

mercoledì 15 ottobre 2008

PER IL PARTITO CHE ANCORA NON C'E'

di Grazia Paoletti e Piercarlo Albertosi*, 31 luglio 2008

La situazione politica nel Paese è molto grave. La scomparsa dei grandi partiti di massa ha portato ad un ventennio di progressiva instabilità che ha segnato la vita della Repubblica e che oggi potrebbe portare ad una affermazione della destra.
Le recenti vicende dimostrano che si stanno producendo effetti negativi anche sul processo di unità della sinistra a gran voce reclamato da milioni di elettori e a fatica avviato per la riottosità di qualche stato maggiore di partito della stessa sinistra.
Il 5 maggio e poi l' 8 e 9 dicembre 2007 hanno suscitato grandi aspettative nel popolo della sinistra, ma poi il processo si è bloccato. E' evidente che non tutti sembrano avere piena consapevolezza dei pericoli che sovrastano la sinistra, che non solo rischia la marginalizzazione ma addirittura l'implosione. Non si va da nessuna se si parte con una semplice alleanza elettorale: manca di appeal, non suscita entusiasmo, aspettative, fiducia, né quindi consenso. Il popolo della sinistra non si sente rappresentato da una frammentata manciata di partitini e l'astensionismo di sinistra è un rischio reale.
Non basta, perciò, parlare di confederazioni, di patti di unità di azione, di portavoci unici e di tutta quella congerie di marchingegni tattici che non aggrediscono a fondo il problema e che non sarebbero in grado di accendere nuove speranze né di infiammare i cuori. Chi ha coraggio lo tiri fuori ora e si esponga, se davvero crede all'unità.
La federazione è credibile solo, visti i tempi stretti, se si pone come un primo passo verso un partito unico della sinistra unita e plurale, un partito popolare e democratico, con un'etica, una struttura, una organizzazione, una disciplina interna. Un partito di governo, che ha un progetto di governo anche quando dovesse stare all'opposizione. Un grande partito, a cui guardano milioni di cittadini italiani, non può definirsi tale se non supera almeno il 10%; altrimenti resta un club.
Occorre oggi rompere gli indugi e compiere rapidamente un'accelerazione verso il processo unitario, abbandonando i deprimenti tatticismi ed i vecchi vizi da e del ceto politico.Occorre un'unità vera, un'unità che chiami alla partecipazione ed al protagonismo tutto il popolo della sinistra che va ben oltre gli iscritti ed i simpatizzanti degli attuali partiti. Un'unità che si costruisca su un progetto di trasformazione della società, sulla difesa dei ceti più deboli, sull'esercizio della democrazia e non solo sulle simbologie.
E' quindi indispensabile che la sinistra si presenti alle elezioni anticipate con una lista unica per dare il segno concreto della sua scelta irreversibile per l'unità, ma occorre aver chiara e comunicare esplicitamente agli elettori l'idea di voler conquistare voti per governare. Per far questo, oltre alla determinazione, ci vogliono decisioni coraggiose che non portino a scelte personalistiche e/o settarie. E' necessario indicare la volontà di ricercare una eventuale possibile alleanza con il Pd, da pari a pari, non subalterna, per costruire un nuovo centro-sinistra che faccia tesoro degli errori della esperienza dell'Unione; alleanza da costruire su punti condivisi, se ve ne saranno, nell'interesse del paese.Occorre quindi, come sta avvenendo in moltissimi territori, costruire in ogni parte dell'Italia quella sinistra unita, popolare, plurale e democratica che era stata la stella polare della grande Assemblea Nazionale del 8 e 9 dicembre scorso alla quale avevano dato piena adesione e si erano impegnati anche i quattro Partiti della sinistra.
La catastrofe elettorale e i congressi deprimenti recentemente terminati hanno ulteriormente peggiorato la situazione di frammentazione della sinistra e di disorientamento dei cittadini non direttamente coinvolti. Altro che mancanza di appeal! C'è il rischio fondato di disgustare per sempre il nostro popolo, che prima di essere considerato fatto di possibili elettori va visto come insieme di soggetti che non sanno più dove collocare le loro speranze e aspettative di mutamento della società, di una società che non piace e non accoglie; non sanno in chi avere fiducia, con chi e come concretamente operare.
Questo porta al qualunquismo, al grillismo, al riflusso localistico leghista, insomma a destra.E di questo siamo tutti responsabili, noi che ci diciamo o pensiamo sinistra.
Quindi basta con i marchingegni tattici. Tiriamo fuori un progetto credibile e attraente che dia speranza e quindi voglia di impegnarsi. Non osiamo adoperare il verbo "lottare": c'è molta strada lunga e faticosa da fare per arrivare a questo punto. Rinnoviamo però l'appello: chi ha coraggio si esponga, ma senza mire personali, per salvare una sinistra per l'Italia.Nei territori vi sono gruppi, associazioni e altro che lavorano e tentano di costruire forme nuove della politica, che purtroppo convivono con le vecchie oligarchie dei partiti in frantumi.Non sappiamo come si possa superare questo momento, salvo che parlando di contenuti, in modo costruttivo. Fare politica non "contro" ma "per".
*Associazione Luigi Longo

Riflessioni dopo la riunione del 20 settembre 2008

Finalmente il 20 settembre si è prodotta un'accelerazione del processo di ricostruzione della Sinistra evocato dall'assemblea del Palaeur il 5 maggio 2007. Questa accelerazione risponde alle aspettative di quel “popolo della sinistra” che si mostrò numeroso, entusiasta e disponibile all'obbiettivo di dar vita ad una Sinistra unita in Italia che mettesse insieme persone provenienti da esperienze politiche diverse. Molti degli intervenuti alla riunione hanno espresso con chiarezza l'indispensabilità di portare a buon fine l'obbiettivo della “Sinitra Unita”.
Tuttavia a leggere i commenti in alcuni blog relativi al 20 sett. dispiace e sconcerta che appaiano ancora alcune chiusure e preclusioni, segno non soltanto di immaturità (o infantilismo politico) ma anche di colpevole sottovalutazione della gravità del momento.
Eppure le indicazioni sono state chiare: iniziamo a costruire un soggetto politico di Sinistra, che abbia capacità di analisi, che sia in grado di elaborare un progetto di società e che si doti di strumenti per essere forza di governo e, perciò in grado di recuperare il consenso elettorale perduto negli ultimi anni e capace di costruire coerenti alleanze con le altre forze del centrosinistra. E' chiaro che a questo scopo sono necessarie una organizzazione ed una struttura, altrimenti la costruzione manca delle fondamenta per stare in piedi e funzionare.
Si è parlato di una struttura a rete, valida per la partecipazione diffusa e per collegarci fra di noi e sul territorio, ma non sufficiente di per sé a raggiungere e implicare tutto il popolo della sinistra: questo richiede di coinvolgerlo nelle proposte di soluzione, richiede democrazia interna, capacità di relazione, di ascolto, di dialogo, e radicamento sul territorio. Queste, oltre la capacità politica, dovrebbero essere le doti dei dirigenti, non la fedeltà di parte né l'obbedienza acritica come talvolta è avvenuto. La partecipazione non ha niente a che fare con il populismo, tanto meno con il plebiscitarismo; si tratta di convincere e non di vincere, ed in questo processo tutti gli interlocutori danno e ricevono qualcosa, ed alla fine sono diversi, hanno qualcosa in più.
Tutto questo evoca uno degli strumenti di analisi e conoscenza della realtà tradizionali della Sinistra, l’inchiesta, molto diffusa e praticata sul campo in un passato non molto remoto e che si è sempre rivelato una strumento efficace di coinvolgimento, di partecipazione e di discussione, che oggi è praticamente scomparso, sostituito dai sondaggi, estremamente distorcenti della realtà.
Oggi il nostro obbiettivo comune è la Costituente della Sinistra, da perseguire con urgenza, peraltro evitando gli obbiettivi intermedi politicisti che hanno distrutto la Sinistra arcobaleno, come ad esempio la formazione di liste prima di essere davvero UN soggetto politico. La sommatoria non funziona mai politicamente, e costruire un soggetto unico non è una passeggiata, ma è l’unica possibilità di avere nel paese una Sinistra, non autoreferenziale e con lo sguardo rivolto all'indietro. C'è bisogno di un Partito che si faccia carico dei problemi della realtà di oggi, di questo capitalismo globalizzato, diverso e peggiore rispetto a quello che abbiamo conosciuto nel dopoguerra.
Grazia Paoletti, Simona Zoccola - Associazione Luigi Longo

sabato 19 luglio 2008

I GIOVANI E LA POLITICA

Grazia Paoletti

Molte recenti indagini, studi, articoli di stampa, tesi di laurea hanno indagato l’universo dei giovani di oggi, con diversi obbiettivi, diverse modalità di rilevazione e di determinazione dei campioni. Anche la TV purtroppo fornisce fictions peraltro di basso livello e spesso contestate da coloro che si vorrebbe rappresentare ed interpretare sui giovani, sulla loro vita a scuola e nella società; esse sono insieme semplificatrici e distorcenti.
Alcune ricerche e tesi di laurea si propongono in particolare di descrivere il rapporto fra i giovani e la politica. Compito non facile e risultati non univoci.
Per persone della generazione mia e di quelle circostanti,che hanno attraversato la seconda metà degli anni 60 e la prima degli anni 70 più o meno attivamente ma comunque molto consapevolmente, risulta abbastanza sconcertante (e deprimente) vedere come dagli anni 80 in poi l’interesse politico da parte dei giovani sia in continua e progressiva diminuzione. Chi per qualche ragione ha operato nel mondo della scuola, dell’università, o comunque si è occupato delle più giovani generazioni, di coloro che hanno oggi dai 16 ai 35 anni circa, aveva già percepito questa assenza d’interesse che le indagini confermano.
Emerge, e non da oggi, un ripiegamento nel privato, un allontanamento dalla sfera pubblica ed in particolare dalla politica; situazione certamente indotta anche dalla attuale condizione giovanile che si caratterizza per incertezza, precarietà, dipendenza obbligata dalla famiglia e convivenza con questa fino a età avanzata, mutamento dei valori, modelli ed esempi nella società non certo edificanti, debolezza della scuola o comunque distanza dei processi formativi e dei formatori dal vissuto, dall’esperienza, spesso dalle esigenze e aspettative dei giovani, da cui deriva una reciproca sfiducia. Infatti è molto diffusa la mancanza di fiducia nella politica (“sono tutti uguali”) e nelle istituzioni. Non a caso ad ogni elezione aumenta il numero degli astenuti. L’erosione della fiducia è generalizzata, riguarda tutti i tipi di istituzioni, ma tocca soprattutto quelle politico-amministrative. Le varie indagini condotte sull’atteggiamento dei giovani mostrano un declino della fiducia nei governi nella maggior parte degli Stati industrializzati.
Da questa sfiducia derivano, e si stanno già manifestando in alcune città, anche quelle ritenute culla di civiltà, le iniziative di “fai da te” (che spesso sfociano in soprusi o violenze immotivati) come le ronde di cittadini benpensanti del Nord-est o le ronde di giovani fascisti (Azione Giovani) sostenute da AN locale a Firenze.
I giovani oggi devono lottare ogni giorno contro diversi fattori che rendono sempre più difficili le loro condizioni sociali. La politica non si occupa veramente di loro (nonostante si siano succeduti vari ministri con questo incarico), di quello che pensano, di chi sono; ci se ne ricorda solo vicino alle elezioni, guardandoli comunque come un insieme generico ed uniforme di possibili elettori e non come individui differenziati nei valori, nelle idee, nei bisogni.
L’attenzione dei giovani si è spostata progressivamente sul versante privato della vita: nel migliore dei casi studiare, lavorare, far carriera; nel peggiore, consumare e far denaro comunque. L’impegno, quando esiste, si manifesta in una partecipazione alle associazioni di impegno sociale e di volontariato, raramente a quelle politiche. Gli spazi associativi danno la possibilità di confrontarsi, di costruire la propria identità attraverso la differenziazione dagli altri e l’identificazione negli altri. Questo dimostra che esiste in alcuni giovani una generica propensione all’ impegno, ma comunque vi manca un disegno a lungo termine, una visione di un mondo diverso, di una polis da contribuire a costruire appunto attraverso la politica.
Indizi del riflusso, in atto non da oggi, emergono da varie fonti.
Una interessante indagine commissionata alla SWG dal Partito democratico e pubblicata su L’Unità del 27 aprile con il commento di Livia Turco riporta dati definiti nell’occhiello “confortanti”. E’ una opinione che non condivido.
Nel marzo 2008 sono stati sondati un campione di 600 giovani in età 16-35.
Già la parola sondati è indisponente, poiché tutti siamo stati sommersi in continuazione da sondaggi, i più svariati, la cui attendibilità è risultata ben scarsa. Ma soprattutto sono strumenti estremamente superficiali e basati su campioni numericamente limitatissimi. Nella mia generazione siamo stati abituati a fare inchiesta, che è tuttaltra cosa, una immersione a tutto campo in realtà complesse (una fabbrica, un settore produttivo, un distretto industriale, un gruppo sociale.) L’ inchiesta forniva elementi certi di analisi sui quali basarsi per identificare problemi, predisporre strumenti, elaborare un progetto ed operare politicamente per realizzarlo, il tutto coinvolgendo in tali fasi i soggetti implicati.
Nel campione esaminato risulta che il 60% dei giovani si “interessa” di politica. Peraltro solo il 7% è impegnato politicamente, il 62% si limita a tenersi al corrente, il 13% è disgustato ed il 6% indifferente.
Per rappresentare la politica le prime tre parole usate sono: corruzione, potere, ipocrisia, tutte con valori ben oltre il 40%.
Invece le analoghe parole della mia generazione sopra citata erano: ideale, passione, democrazia, partecipazione, giustizia: tutte peraltro presenti nelle risposte al questionario, ma con valori compresi appena fra il 10% e il 25%.
Tuttavia queste nostre parole ancora si ritrovano per esprimere ciò che dovrebbe essere oggi la politica secondo i giovani sondati. Giustizia per il 65%, democrazia 58%, ideale, partecipazione, progetto, passione dal 42% al 29%; ideologia il 12%, potere il 4%. Quindi c’è un’idea positiva, forse una aspirazione, che non trova peraltro risposte nella realtà.
La politica ed i politici infatti non riscuotono, e mi permetto di dire a buona ragione, la fiducia dei giovani: il 32% non ha nessuna fiducia negli uomini politici italiani, il 54% poca; solo l’11% molta (1) o abbastanza (10).
La domanda sui valori fondamentali della vita vede ai primi posti, per importanza, la famiglia 63%, l’amore 59%, l’amicizia 46%; un po’ distante la salute 25%. Da tali dati emerge chiaramente l’individualismo dei valori. La libertà ottiene il 19%, peraltro intesa come situazione individuale e non politico-sociale; il lavoro è al 13%, la giustizia e la sicurezza economica ambedue all’11%, poi vi sono altri valori individuali come il rispetto al 15%, l’onestà al 13%, la lealtà 8%, la sincerità 5%. Ultimi sono due valori con un portato collettivo, istruzione e solidarietà, al 4%. Sconfortante, anche senza fare il paragone con i valori di un passato recente, dove ai primi posti stavano giustizia, libertà, solidarietà, qualunque fosse la situazione economica e sociale del giovane: erano infatti concetti unificanti.
Il concetto di “sinistra” nel campione si identifica soprattutto con la difesa delle fasce più deboli, dei lavoratori, con il pacifismo e la parità fra i sessi. La lotta al capitalismo come un obbiettivo è indicata dal 46% della parte di campione che si dichiara di centrosinistra, nella quale emergono forti (fra il 70% e l’80%) valori identificativi come laicità, giustizia, solidarietà. La parità fra i sessi marca visita.
Anche da questa indagine dunque emerge un quadro prevalentemente di estraneità fra i giovani e la politica, della quale peraltro le cause vanno equamente distribuite fra la società circostante, la inadeguatezza del sistema formativo, la debolezza educativa di gran parte delle famiglie, divise fra quelle che scaricano la responsabilità della formazione dei figli riempiendoli di doni e soldi e quelle impegnate quotidianamente a lottare con i redditi insufficienti. Come dice il sociologo De Masi, oggi ai giovani mancano le agenzie di socializzazione, la famiglia e la scuola che non svolgono più alcun ruolo in questo senso. Altre cause risultano essere le squallide performances della politica (con rare e scarse eccezioni), le promesse non mantenute, l’opportunismo, i giochi di potere, i cattivi esempi che vengono dall’alto (da tangentopoli ad oggi). I furbetti alla Ricucci ed i furboni alla Fiorani sono dati quasi per scontati nel panorama politico e civile attuale; non suscitano scandalo, anzi talvolta invidia per le opportunità che hanno saputo cogliere. Tutto ciò genera cinismo.
D’altra parte si vede come alcuni giovani hanno un approccio alla politica attraverso i Comuni, l’ente territoriale più vicino ai cittadini.
Da una indagine ANCI Giovani in collaborazione con CITTALIA e SWG-Publica RES emerge che negli ultimi 3 anni c’è stato un aumento di interesse per la politica nel 50% degli intervistati (2600 di cui 2000 sotto i 34 e 600 sopra i 35 anni), i quali guardano al proprio Comune come a una palestra politica. Nei Comuni il 19% degli amministratori ha meno di 35 anni, ed è la percentuale maggiore rispetto a tutti gli enti superiori, che mostrano il minimo del 2,2% fra i deputati (del precedente Parlamento), ma sono tutti comunque a una cifra. Il Comune si conferma il trampolino della politica e il 90% degli intervistati sostiene che bisogna partecipare alla vita del proprio Comune, pur lamentando lo scarso peso attuale. Evidentemente la estraneità della politica si sente meno quanto più l’ambito è vicino alla vita quotidiana dei giovani. Anche questo deve essere oggetto di riflessione.
Da quando una trentina di anni fà Enrico Berlinguer, largamente inascoltato anche dai suoi, sollevò la questione morale, lanciando l’allarme sulla degenerazione dei partiti, divenuti trampolini di carriera, agenzie di collocamento, e non più elementi di organizzazione della società per modificarla, il nostro paese ne è stato progressivamente sommerso; i giovani di cui si tratta sono figli di questo clima.
Ai giovani oggi mancano totalmente dei punti di riferimento credibili, di cui essi hanno bisogno, grandi figure che possano essere di esempio, di guida morale, eletti addirittura a simboli come Che Guevara, Gandhi, John e Robert Kennedy, Enrico Berlinguer stesso.
Con Enrico Berlinguer nel ’75-’76 il PCI registrò una esplosione di adesioni soprattutto da parte di giovani che individuarono in lui un leader morale oltre che una figura positiva della politica. Un altro esempio è quello di Luigi Longo, che nel ’68 riuscì a gestire la situazione aprendo al movimento dei giovani per cui nel ’69 si realizzo l’alleanza studenti-operai. I giovani hanno bisogno di queste figure, non necessariamente organizzatori di movimento, ma punti di riferimento, persone che hanno quel di più di carisma che travalica l’ideologia e la cui indicazione politica ha un legame coerente con il loro comportamento, con la loro vita.

giovedì 17 luglio 2008

Riflessioni su economia e lavoro

a cura di Grazia Paoletti e Piercarlo Albertosi

Nel sistema capitalistico vediamo affermata da decenni la prevalenza delle teorie macroeconomiche monetariste e delle relative politiche monetarie, il cui primo obbiettivo è eliminare l’instabilità dei sistemi economici moderni per mantenere la stabilità dei prezzi e quindi del valore della moneta. . Sul versante della politica economica l’unico intervento per così dire legittimato sul mercato reale appare la cosiddetta politica dalla parte dell’offerta, cioè favorire la stabilità dei prezzi e lo stimolo alla crescita attraverso incentivi alle imprese. Questo tipo d’intervento gode di grande popolarità fin dagli anni di Reagan negli Stati Uniti e della Thatcher in Gran Bretagna. Si tratta di incentivi all’ offerta e di forti riduzioni delle aliquote d’imposte e della progressività delle stesse. Tutto questo al fine di aumentare la remunerazione netta dei fattori come il risparmio, gli investimenti, il lavoro, che promuovono la crescita,. Mentre la teoria keynesiana afferma il ruolo essenziale della domanda aggregata, cioè della spesa in consumi ed investimenti, per accrescere il prodotto nazionale e l’occupazione. All’inizio dell’amministrazione Reagan c’era una forte aspettativa di ripresa economica e di crescita del prodotto reale, il PNL, ma in realtà le politiche dal lato dell’offerta determinarono un tasso di crescita effettivo circa della metà rispetto a quello previsto. Al contrario delle previsioni, il gettito fiscale diminuì generando l’aumento del disavanzo del bilancio federale, l’inflazione diminuì ma fu pagato un prezzo altissimo in termini di disoccupazione, diminuì bruscamente il tasso di risparmio nazionale e nel periodo 81-83 si manifestò una profonda recessione, come descrive il premio Nobel Paul Samuelson.
Ebbene, oggi nel 2008 è molto importante che un illustre economista riaffermi i principi della politica economica keynesiana basata sul ruolo fondamentale della domanda. Mi riferisco all’intervista del Prof. Giorgio Lunghini ordinario di Economia politica all’Università di Pavia su L’Unità del 12 luglio.
L’economia dell’Italia è in costante declino, il paese è stretto in notevoli difficoltà internazionali, la BCE è accanitamente monetarista. In questo quadro Lunghini propone l’aumento di salari e stipendi per rilanciare i consumi dei ceti sociali a basso reddito che hanno una elevata propensione al consumo. Egli sostiene con forza la necessità diuna redistribuzione del reddito attraverso l’aumento del prelievo sui redditi alti e rilancia il concetto di progressività dell’imposta conformemente al dettato costituzionale. Insomma, è una voce oggi assolutamente fuori dal coro, che ci indica l’unica ragionevole strada da intraprendere, non solo per una questione di giustizia sociale, ma per far crescere l’economia: “basta frequentare un corso base di economia per saperlo”, egli sostiene.
Ancora. Su Il Manifesto del 3 luglio commentando il Rapporto sullo stato sociale 2008 elaborato dal Dipartimento di economia pubblica della Sapienza di Roma e dal CRISS e curato dal Prof. Felice Roberto Pizzuti, docente di economia pubblica alla Sapienza, quest’ultimo mette in rilievo che negli ultimi anni pur senza trovare adeguate verifiche empiriche si è diffusa la tesi secondo la quale la spesa e l’azione dello stato sociale frenerebbero la crescita economica e dunque per favorire lo sviluppo dovrebbero essere contenute. Questo può essere usato per giustificare interventi restrittivi sul welfare con lo spostamento dei rischi dalle imprese e dalla collettività ai singoli lavoratori, come difatti sta avvenendo. Invece appare chiaro che in tal caso la domanda si riduce e frena la crescita. Al contrario “i paesi europei più avanzati si distinguono per un circolo virtuoso in cui il welfare state (e dunque la spesa pubblica) favorisce innovazione produttiva, competitività e crescita, facilitando la stessa capacità di finanziamento della spesa sociale”.
Il governatore Draghi a Montecitorio parlando del DPEF ha spiegato che il contesto internazionale è difficile ed ha sottolineato la necessità di ridurre le aliquote d’imposte “per i lavoratori e per le imprese” per rafforzare la crescita, e di restituire il drenaggio fiscale per sostenere il reddito disponibile delle famiglie. Tuttavia i due gruppi sociali destinatari di tali interventi non possono essere messi sullo stesso piano a livello di effetti espansivi sulla crescita proprio in base alla diversa propensione marginale al consumo di soggetti con diversi livelli di reddito (anche senza parlare di equità sociale!).
Un importante accenno troviamo in Lunghini anche a proposito della produttività, che non cresce abbassando i salari, ma dipende dalle scelte imprenditoriali. Investimenti, innovazione, formazione, sicurezza sul lavoro, benessere nelle condizioni di lavoro. Invece le condizioni di lavoro e la sicurezza peggiorano notevolmente, l’intensità del lavoro in Italia è aumentata di 28 punti percentuali, e si detassano pure gli straordinari! Dalla seconda metà degli anni novanta i problemi mentali legati al lavoro, come stress,insonnia e crisi d’ansia sono aumentati del 3,2%. Non mi pare che siano forieri di crescita della produttività.
Del resto basta leggere anche solo i quotidiani per rilevare la drammaticità della questione salariale in Italia. Gli italiani guadagnano meno della media dei 30 paesi dell’OCSE e meno degli europei. Evidentemente se il costo del lavoro fosse davvero inversamente proporzionale alla produttività dovremmo, relativamente a quest’ultima, essere in cima alla classifica!
Il lavoratore medio guadagna circa la metà di un collega scandinavo, paga uguali tasse e non ottiene in cambio uguali servizi e sussidi.
L'aumento del petrolio insieme a quello collegato dei carburanti e di conseguenza delle tariffe essenziali (luce e gas), oltre ai generi alimentari cresciuti praticamente tutti (ma soprattutto quelli più importanti dal punto di vista sociale, i prodotti alimentari di base legati al grano) hanno generato una crescita non trascurabile dell'inflazione.
Questo dato deve essere collegato a quelli sulla povertà nel nostro paese forniti recentmente dalla Caritas, che mostrano come la situazione si sia ulteriormente aggravata, addirittura anche rispetto al rapporto Istat pubblicato all'inizio dell'estate 2007. Se poi aggiungiamo i bassi livelli dei salari sopra citati, che hanno determinato anche in Italia il fenomeno dei "lavoratori poveri", tutto ciò induce a riflettere sull'opportunità, anzi la necessità ed urgenza di riparlare di un adeguamento delle retribuzioni e delle pensioni al costo della vita.
A tale proposito si sono già cominciati a leggere su quotidiani e riviste vari articoli allarmati di economisti o industriali che paventano la reintroduzione della scala mobile.
La salvaguardia del valore reale delle retribuzioni dei lavoratori e delle lavoratrici dipendenti a fronte della crescita dell'inflazione e delle tariffe essenziali rappresenta, prima di tutto, l'attuazione del dettato costituzionale ex art.36: "Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un'esistenza libera e dignitosa."
Ebbene è necessario formulare una proposta sull’adeguamento delle retribuzioni al costo della vita.
Il ridimensionamento progressivo del reddito reale dei lavoratori dipendenti contribuisce, oltre tutto, a contrarre i consumi ed il relativo mercato interno, senza che a ciò corrisponda alcun beneficio in termini occupazionali, come invece hanno sempre sostenuto i fautori della liquidazione della scala mobile.
Il meccanismo di indicizzazione dovrebbe prevedere che, qualora l'inflazione reale si riveli superiore a quella programmata, la differenza corrispondente alla diminuzione del valore reale delle retribuzioni venga inserita nella busta paga dei dipendenti entro il primo mese dell'anno successivo a quello di riferimento. Nulla sarebbe dovuto se l'inflazione reale coincidesse con quella programmata. Il meccanismo interviene solo se si verifica uno scostamento fra la realtà e le previsioni. E potrebbe anche fungere da deterrente nei confronti di tendenze all'ulteriore innalzamento dei prezzi. Inoltre questo strumento di indicizzazione automatica non viola la contrattazione fra le parti sociali né vi si sostituisce, ma lascia inalterati i contenuti degli accordi sindacali vigenti. Ci permettiamo dunque di ricordare con forza alla Sinistra questo problema.


16 luglio 2008

lunedì 28 aprile 2008

La prima Festa nazionale dell'ANPI

Nei giorni 20-21-22 giugno si terrà presso la vasta area del Museo Cervi a
Gattatico (RE) la Prima Festa Nazionale dell’ANPI (Associazione Nazionale
Partigiani d’Italia).
Si tratta di un’iniziativa promossa e organizzata in particolare dai giovani
antifascisti su cui l’Associazione sta investendo speranze e passione.
Il tema conduttore della Festa - che verrà sviscerato tra interessanti momenti
di confronto ed eventi musicali - sarà il senso dell’essere "partigiani oggi".
Nell’attuale, delicatissimo passaggio storico italiano, segnato da un generale
malessere sociale, da un pericoloso vuoto di valori condivisi e da
un’aggressiva riproposizione di ideologie fasciste e revisioniste, un richiamo
vivace e profondo agli ideali della Resistenza e della Costituzione della
Repubblica, che hanno assicurato alla nazione pace e democrazia per
sessant’anni, può offrire a tutti gli italiani, ed in particolare ai giovani, la forza
giusta per andare avanti uniti e responsabili.
La prima Festa Nazionale dell’ANPI si concluderà con una grande
manifestazione popolare che farà incontrare partigiani, antifascisti, giovani,
cittadini sensibili in uno spazio che è una suggestiva e preziosa officina della
memoria e del futuro: il Museo Cervi.
IL COMITATO NAZIONALE DELL’A.N.P.I.

lunedì 14 aprile 2008

Interdipendenze tra macro e microeconomia

14 novembre 2007
La Sinistra che vogliamo
Questo intervento dell'Associazione Luigi Longo, intende ampliare il lavoro realizzato dalle compagne e dai compagni del forum ospitato in homepage da aprileonline. In particolare, si tratta di un confronto sulla sintesi "Quali politiche del lavoro" redatta da Elisa Migliaccio e approvata dai partecipanti al gruppo di discussione
Vorremmo aggiungere alcune cose alla sintesi della relazione redatta da Elisa Migliaccio a conclusione della discussione sul forum ospitato da aprileonline "la sinistra che vogliamo" (in alto a destra su questa homepage, ndr.). Infatti riteniamo che per parlare delle politiche del lavoro sia necessario ampliare il quadro di analisi ed il punto di osservazione. Solamente tenendo presenti le interdipendenze fra macro e microeconomia, i reciproci condizionamenti fra i grandi aggregati economici e le situazioni più specifiche con le quali ci si misura nei campi particolari, fra cui quello del lavoro che riveste per la Sinistra un'importanza primaria, si può avere l'ambizione (e dobbiamo averla) di costruire un programma per la Sinistra unita.
1. L'Italia cresce poco come PIL e nella scala della competitività mondiale si colloca al 40mo posto a fronte della Spagna al 22mo e anche dopo Portogallo, Polonia, Ungheria. Secondo l'Economist il nostro mercato del lavoro ed il regime fiscale sono giudicati fra i peggiori del mondo. La burocrazia è pesantissima e poco efficiente, c'è carenza di infrastrutture, il costo dell'energia è di media 4 volte superiore a quello di altri paesi europei. Tutto ciò scoraggia gli investimenti esteri.Il livello della spesa in ricerca e sviluppo sostenuto dal settore pubblico (incluse le Università) è in Italia intorno al 48% mentre la media UE è del 63%. Il sistema produttivo del paese risulta piuttosto statico (con rare eccezioni e punti di eccellenza in alcuni settori e zone prevalentemente del centro-nord): più di 1/3 delle imprese italiane, circa 1 milione e mezzo con 5 milioni di addetti, si è dotato di strutture organizzative e di modelli di comportamento che mirano alla realizzazione di un reddito stabile ritenuto adeguato; pochissime di esse sono tuttavia sensibili ad esigenze e ad incentivi miranti alla modernizzazione, all'investimento in innovazione, all'aggiornamento del modello tradizionale di specializzazione. Infatti, è vero che cresce la specializzazione nel classico made in Italy ma questa crescita avviene con produzioni manifatturiere polverizzate in microstrutture domiciliari nel Mezzogiorno (vedi Gomorra di Saviane) ovvero in paesi dell'Est, con peso crescente per marchi prestigiosi, o dell'Oriente. Anche questo spiega la bassa produttività del paese. Nella grande maggioranza delle aziende italiane di medie dimensioni gli utili di impresa vengono orientati prevalentemente su investimenti esterni, di natura speculativa, finanziari o immobiliari, invece che in reinvestimenti produttivi o in beni capitali per irrobustire le imprese stesse. Fra il 2000 ed il 2006 le grandi imprese hanno investito negli immobili (che non sono abitazioni per famiglie consumatrici) con aumenti dell'88%, anziché in macchinari, calati del-7%. In questa situazione sono necessari interventi per favorire la creazione di ricchezza (reale).
Occorrerebbe, quindi:
- Evitare le agevolazioni a pioggia (come la riduzione generalizzata del cuneo fiscale) ed invece condizionarle a comportamenti virtuosi, premiando la innovazione e la diversificazione degli investimenti aumentando la quantità e la qualità dell'occupazione.- Incentivare la ricerca per l'innovazione, nel settore pubblico e nelle Università attraverso spese ad hoc e qualificazione del lavoro e nel privato attraverso incentivi agli investimenti in innovazione e lavoro, detassando - per esempio - i profitti reinvestiti all'interno delle aziende in beni strumentali.- Investire nella formazione e nella qualificazione del lavoro. - Adeguare la tassazione delle rendite finanziarie ai livelli europei.- Promuovere in sede europea una specie di nuova formulazione della Tobin tax che disincentivi i movimenti di capitale a breve di tipo speculativo, che necessariamente non deve riguardare un solo o pochi paesi.
2. - Dualità del paese e aumento della forbice fra ricchi e poveri.Oltre che crescere meno degli altri paesi europei l'Italia cresce male; infatti aumenta il divario fra centro-nord e sud, fra imprese innovative ed imprese di sussistenza, fra ricchi e poveri,fra donne e uomini, fra giovani, età medie e anziani. Il 20% delle persone più ricche si appropria del 40% del reddito complessivo, mentre il 20% più povero della popolazione dispone del 7,8%. La non equa distribuzione è progressivamente in aumento. Da qualunque punto di vista le situazioni migliori del sud tendono ad essere sempre un po' inferiori a quelle migliori del nord.Come appare dal rapporto ISTAT e dal dati recentissimi della Charitas la povertà è in aumento, con percentuali doppie nel mezzogiorno rispetto al resto del paese.A livello di grandezze macroeconomiche l'insieme del reddito disponibile delle famiglie è rimasto invariato, mentre è aumentata in valore la spesa in consumi poiché è cresciuta in generale l'inflazione e particolarmente i prezzi di alcuni settori, gli alimentari e le tariffe essenziali, riducendo il risparmio delle famiglie che ne disponevano ed aumentando l'indebitamento. E' necessario dunque attivare controlli sui prezzi lungo tutta la filiera produttiva e sulle tariffe.Per attuare una buona politica di welfare che promuova adeguate condizioni materiali di vita per tutti è necessario pensare ad un ventaglio di soluzioni strutturali che vadano oltre le elargizioni monetarie e riguardino le condizioni esistenziali complessive delle persone. Tali politiche, oltre che rispondere all'esigenza dell'equità, possono generare anche opportunità di sviluppo economico e sociale del paese.
3. E' essenziale rivedere la distribuzione del reddito sempre più sbilanciata nei dati macroeconomici a sfavore del lavoro.I salari sono fra i più bassi d'Europa.La questione salariale va affrontata in accordo con le organizzazioni sindacali e nell'ambito degli accordi vigenti. Occorrono interventi di politica dei redditi redistributiva in favore dell'occupazione stabile, dei redditi da lavoro dipendente e delle pensioni.E' necessaria una legislazione per una moderna forma di scala mobile ed inoltre dispositivi per disincentivare l'ingresso di merci provenienti da aree e paesi che non rispettano i diritti sul lavoro come mediamente in Europa sono riconosciuti.Punti essenziali sono anche il controllo del processo lavorativo e delle condizioni di lavoro, la sicurezza sul lavoro, la lotta alla precarietà ed al lavoro nero.Oltre ai controlli adeguati si dovrebbero attivare forme obbligatorie di formazione antinfortunistica per i lavoratori, con spese a carico delle aziende e dello Stato.Il lavoro precario deve essere per l'azienda meno conveniente di quello a tempo indeterminato, e comunque con limiti e quantità rigidi, fatto salvo il part-time concordato nei modi e nei tempi ed immodificabile unilateralmente dall'azienda.Bisogna inoltre intervenire con un miglioramento sui lavori usuranti, anche se nell'ultimo anno alcuni passi avanti sono stati compiuti; sono infatti da eliminare le quote annue di lavoratori con diritto al pensionamento anticipato poiché il diritto alla salute non può essere subordinato alle questioni economiche ed è dubbia la legalità di trattamenti differenziati. Per quanto riguarda i turnisti di notte si è introdotto un numero di turni così alto da essere praticamente impossibile ottenere il diritto al prepensionamento, per cui il riconoscimento resta solo sul piano teorico. Occorre abbassare il numero fino a 60 o al massimo 65 turni annui.La stabilizzazione dei precari dei settori pubblici deve essere fatta attraverso forme coerenti di reclutamento ovvero attraverso concorsi pubblici riconoscendo un punteggio per il lavoro precario svolto. Diversamente si accetterebbe il concetto di una diversificazione delle modalità di assunzione nel pubblico impiego con una sorta di discriminazione verso quanti non hanno potuto accedere neanche al precariato. (Siamo sicuri che l'accesso a forme di precariato nella PA non sia talvolta avvenuto attraverso meccanismi clientelari a scapito di altri?) Comunque la PA deve ricorrere al lavoro precario solo nei casi e con i limiti previsti nei CCNL e dalle esternalizzazioni devono essere tassativamente esclusi i servizi e le attività che sono il "core business" degli stessi, come ad esempio i servizi di cura e di assistenza alla persona per il Servizio Sanitario Nazionale o, per fare un altro esempio, la riscossione di tributi per le pubbliche amministrazioni. Per quanto riguarda gli appalti va anche potenziata o reinserita la norma della responsabilità diretta dell'azienda pubblica appaltante nei confronti delle inadempienze delle aziende cui sono stati assegnati gli appalti.
4. Nel nostro paese il tasso di attività femminile (inserimento nel lavoro delle donne) nel 2006 è il 51%, a fronte del 63% dell'Europa a 15. E soprattutto nel mezzogiorno si registra un progressivo ritiro delle donne dal mercato del lavoro. Al sud i tassi di attività femminile sono fra i più bassi d'Europa. Il persistente modello familista di gestione dei rischi sociali implica che sia sempre il lavoro femminile a risentirne. Questa è la riprova di un sistema di welfare che non sostiene adeguatamente le attività di cura e di assistenza alla famiglia (nonostante l'ossessiva retorica familistica presente) e alimenta la cosiddetta "zona grigia" dell'inattività femminile concentrata per 2/3 nel mezzogiorno. A ciò va posto rimedio.La disoccupazione giovanile e la rinuncia della popolazione femminile a cercare lavoro sono fenomeni preoccupanti oltre che per le condizioni materiali di vita anche per la legalità.Altro fenomeno preoccupante è la ripresa delle migrazioni interne. Anche per questi problemi non è pensabile un' unica soluzione riguardante solo il lavoro in quanto tale, ma occorrono vari interventi integrati e coordinati su tutto il contesto economico, sociale, formativo, occupazionale, insomma c'è bisogno di "una politica" per il mezzogiorno.
5. Immigrati. La relazione esprime bene anche la nostra opinione.
IN CONCLUSIONE IN QUESTO PAESE SONO NECESSARI UNA SERIE DI INTERVENTI DI POLITICA ECONOMICA, FISCALE, SOCIALE E DEL LAVORO coerenti e compatibili, miranti alla crescita della ricchezza, alla equa redistribuzione del reddito, ad un sistema impositivo e di spesa dello Stato che generi uguaglianza dei sacrifici e delle opportunità, alla eliminazione dello sfruttamento e valorizzazione del lavoro, al miglioramento delle condizioni materiali di vita dei lavoratori e dei soggetti più sfavoriti.
Grazia Paoletti e Piercarlo Albertosi (Associazione Luigi Longo)

martedì 8 aprile 2008

Lavoro in turni notturni - Proposta per i gruppi parlamentari



Documento inviato ai gruppi parlamentari di PdCI, Prc e Ds – Novembre 2005

MATERIALI

PER PROPOSTA DI MODIFICA TABELLA A DEL D.Lgs. 374/93 A FAVORE DEI LAVORATORI IN TURNI NOTTURNI
Studio a cura dell’Associazione “Luigi Longo”

Legislazione e normativa di riferimento:

Legge 23 ottobre 1992 n° 421 recante norme per benefici per lavoratori adibiti ad attività usuranti

Decreto legislativo 11 agosto 1993 n. 374 e sue modificazioni emanato in attuazione della L. 421/92

Direttiva Europea n°104 del 1993 concernente alcuni aspetti dell’organizzazione degli orari di lavoro”.

Decreto legislativo 26 novembre 1999 n° 532 “Nuove disposizioni in tema di ricorso al lavoro notturno” e Circolare n.13 del 14 marzo 2000 del Ministero del Lavoro a chiarimento di alcuni aspetti legislativi in materia di lavoro notturno.

Decreto legislativo 8 aprile 2003, n. 66 di riforma della disciplina in materia di orario di lavoro in recepimento delle Direttive comunitarie 93/104 e 2000/34


a) ai sensi dell’art. 2 del D.lgs n. 374/93 “ Per i lavoratori dipendenti pubblici e privati, nonché per i lavoratori autonomi iscritti all’INPS, prevalentemente occupati, a decorrere dalla entrata in vigore del presente decreto legislativo, nelle attività particolarmente usuranti di cui all’art. 1, il limite di età pensionabile previsto dai rispettivi ordinamenti previdenziali è anticipato di due mesi per ogni anno di occupazione nelle predette attività, fino ad un massimo di sessanta mesi complessivamente considerati.. Per i lavoratori impegnati in lavori particolarmente usuranti, per le caratteristiche di maggior gravità dell’usura che questi presentano, anche sotto il profilo delle aspettative di vita e dell’esposizione al rischio professionale di particolare intensità, viene inoltre ridotto il limite di anzianità contributiva di un anno ogni dieci di occupazione nelle attività di cui sopra, fino ad un massimo di ventiquattro mesi complessivamente considerati.

b) Ai sensi della Direttiva Europea 93/104 si intende per:
1) “orario di lavoro”: qualsiasi periodo in cui i lavoratore sia al lavoro, a disposizione del datore di lavoro e nell’esercizio della sua attività o delle sue funzioni, …
2) “periodo di riposo”: qualsiasi periodo che non rientra nell’orario di lavoro;
3) “periodo notturno”: qualsiasi periodo di almeno 7 ore, definito dalla legislazione nazionale e che comprenda in ogni caso l’intervallo tra le ore 24 e le ore 5;
4) “lavoratore notturno”:
a) qualsiasi lavoratore che durante il periodo notturno svolga almeno 3 ore del suo tempo di lavoro giornaliero, impiegato in modo normale; e
b) qualsiasi lavoratore che possa svolgere durante il periodo notturno una certa parte del suo orario di lavoro annuale, definita a scelta dallo Stato membro interessato: … omissis…
5) “lavoro a turni”: qualsiasi metodo di organizzazione del lavoro a squadre in base al quale dei lavoratori siano successivamente occupati negli stessi posti di lavoro, secondo un determinato ritmo, compreso il ritmo rotativo, che può essere di tipo continuo o discontinuo, ed il quale comporti la necessità per i lavoratori di compiere un lavoro ad ore differenti su un periodo determinato di giorni o settimane;
6) “lavoratore a turni”: qualsiasi lavoratore il cui orario di lavoro sia inserito nel quadro del lavoro a turni.

c) Direttiva Europea 93/104:
Art. 8 – Durata del lavoro notturno …
Art. 9 – Valutazione della salute dei lavoratori notturni …
Art. 10 – Garanzie per lavoro in periodo notturno …
Art. 11 – Informazione in caso di ricorso regolare ai lavoratori notturni …

d) Circolare 13/2000 del Ministero del Lavoro:
…è da considerarsi come “notturno” il lavoro che non sia inferiore alle sette ore consecutive all’interno delle quali vi deve essere contenuta la fascia oraria tra le 24 e le 5 del mattino. Più semplicemente è considerato lavoro notturno quello prestato:
- dalle ore 22 alle ore 5;
- dalle ore 23 alle ore 6;
- dalle ore 24 alle ore 7.
… è considerato lavoratore notturno chiunque svolga, in via non eccezionale, “una parte”
del suo normale orario di lavoro durante il periodo notturno come sopra indicato.
Il lavoro notturno ed i lavoratori notturni … entrano nelle procedure di tutela disciplinate dal
D.lgs 19 settembre 1994, n. 626 e successive variazioni.
Infatti nei confronti dei suddetti “lavoratori notturni”, il datore di lavoro deve provvedere,
tramite il medico competente:
- alle visite mediche preventive …
- alle visite mediche periodiche, almeno ogni due anni, per accertare il loro stato di salute;
- alle visite mediche in caso di evidenti condizioni di salute incompatibili con il lavoro notturno…

e) I risultati di specifici studi scientifici hanno evidenziato un’alta prevalenza di
ipertensione arteriosa in soggetti che svolgevano lavoro a turni diurni e notturni e
contemporaneamente una bassa frequenza di ipertensione arteriosa in soggetti con attività
esclusivamente diurne. Gli stessi studi hanno messo in evidenza l’incremento di patologie
cardiovascolari tra i lavoratori notturni individuando una stretta associazione tra lavoro a
turni e malattie cardiovascolari.

f) La stessa Direttiva Europea 93/104 riconosce che l’organismo umano è più vulnerabile di
notte nei riguardi di alterazioni ambientali e che certe forme stressanti di organizzazione del
lavoro e lunghi periodi di lavoro notturno possono essere deleteri per la salute.

CONCLUSIONI

La Tabella A allegata al D lgs 374/93 viene così modificata:
la frase “Lavoro notturno continuativo” è sostituita da : ”lavoratori che svolgono lavoro notturno per un minimo di 60 turni lavorativi all’anno”.

a cura di Piercarlo Albertosi - Associazione Luigi Longo

sabato 5 aprile 2008

Verso l'unità della sinistra - Carrara 23 marzo 2007



Sala di Rappresentanza del Comune

“Verso l’Unità della Sinistra – Le ipotesi in campo”

TAVOLA ROTONDA

Partecipano:
on Paolo Ciofi, Associazione per il Rinnovamento della Sinistra
sen Claudio Grassi, Partito della Rifondazione Comunista
sen Gianfranco Pagliarulo, Sinistra Rossoverde
Presiede:
Letizia Lindi, Circolo di iniziativa culturale carrarese

Per sopraggiunte ed improvvise difficoltà non ha potuto essere presente l’on Pino Sgobio del Partito dei Comunisti Italiani

Introduzione di Piercarlo Albertosi dell’Associazione “Luigi Longo”

Ringrazio i presenti in sala ed i compagni con i quali discuteremo sul delicato tema dell’unità della sinistra e sulle ipotesi che sono in campo. Ne ascolteremo i punti di vista, le proposte ed anche le difficoltà che eventualmente ci prospettano con l’attenzione ed il rispetto dovuti a chi, rappresentando organizzazioni complesse e collegiali come partiti e associazioni, deve procedere con cautela per consentire una sintesi che riesca a rappresentare il più possibile la volontà degli iscritti e degli associati.
Naturalmente il mio auspicio è che la discussione di oggi consenta di fare un ulteriore passo in avanti verso la riaggregazione di tutta la sinistra italiana, che è qualcosa di più impegnativo – come si può convenire – rispetto alla pur utile ricerca di alleanze elettorali o di patti di consultazione tra gli eletti nelle amministrazioni locali e regionali e proprio per questo necessita di percorsi attenti, ragionati, senza fughe in avanti ma anche senza retropensieri paralizzanti.
Mi limiterò, nell’introdurre questa Tavola Rotonda, a fornire alcuni spunti di ragionamento e a proporre in maniera sintetica le coordinate di una discussione che entri nel merito della questione.
Primo spunto. In questi giorni, sulle pagine nazionali de l’Unità, alcuni esponenti del mondo della cultura e del sindacato hanno lanciato un appello ai militanti Ds (che in questi giorni sono nel pieno dei loro congressi di base) affinché sostengano le ragioni contrarie alla creazione del Partito Democratico. “Ci siamo formati la convinzione – essi dicono significativamente – che in Italia c’è bisogno di un grande partito della sinistra che, a partire dalla piena rappresentanza del lavoro, sia un soggetto di trasformazione e di cambiamento della società, opponendosi così alla deriva moderata di una parte della sinistra italiana”.
Secondo. Per la prima volta, dopo 60 anni, tutta la sinistra rappresentata nei partiti è al governo del Paese, ne condivide il programma che essa stessa ha contribuito a scrivere manifestando una omogeneità di indirizzi politici su moltissime questioni di politica interna (pensioni, fiscalità, laicità dello Stato, difesa della Costituzione, diritti civili e sul lavoro, ecc) e di politica internazionale (pace, ambiente, ruolo dell’Europa, politica verso i paesi del Mediterraneo, questione israelo-palestinese, ecc). In sostanza, le differenze ed i distinguo che per decenni hanno segnato la storia dei rapporti a sinistra ed hanno alimentato conflittualità e competizioni elettorali, sono sempre più sottili e sfumati, fino spesso a scomparire.
Terzo. L’avvio del processo verso il PD da parte di Ds e Margherita, la fibrillazione nel centrosinistra nel corso della recente crisi del governo Prodi, le grandi manovre per ricostruire un centro politico tra Udc, Udeur, IdV con il dichiarato intento di favorire la nascita di un nuovo e diverso centrosinistra senza quella sinistra che loro definiscono estrema (cioè noi), hanno accelerato la discussione sull’idea della riunificazione di una sinistra che – va tenuto presente – non è tutta ricompresa nei partiti ma, anzi, essi ne organizzano una parte minoritaria.
Quarto. Lo scenario mondiale vede la piena affermazione del modello capitalistico. Emergono in maniera devastante tutti i grossi limiti e la sua incapacità a dominare il mostro che esso stesso ha generato con la rottura dell’equilibrio ambientale che sta portando alla distruzione del pianeta, con le paurose disuguaglianze sociali tra i diversi Paesi ed all’interno degli stessi paesi capitalistici, con le disuguaglianze tra i sessi, tra le generazioni, tra le classi, con l’esplosione di violenti fondamentalismi (non solo religiosi) e l’irruzione di scenari di guerre senza fine per il controllo delle aree militarmente strategiche e per il controllo delle fonti energetiche, con l’eclissi delle libertà civili, dei diritti sul lavoro, della democrazia che sempre più sta diventando un simulacro, con la mercificazione dei beni comuni (acqua, spazio, scienza, cultura) fino alla privatizzazione (attraverso la brevettazione) dei principi stessi della vita come sta accadendo per molti farmaci salvavita e per la sequenza del genoma.
Quinto. In una nostra precedente iniziativa organizzata nel febbraio scorso a Firenze sul medesimo tema, il compagno Aldo Tortorella (che stasera è impegnato sempre a Firenze in una iniziativa analoga a questa) ha ricordato come “stia prepotentemente avanzando un processo di subordinazione e di svalorizzazione del lavoro che rappresenta il massimo dello sfruttamento e dell’alienazione”. Concetto analogo lo troviamo nelle tesi congressuali del PdCI che sottolineano, in aggiunta, la modernità di rendere centrale per la sinistra il tema del lavoro salariato. Tutto questo mentre si stanno sviluppando in maniera rapidissima le innovazioni tecnologiche e scientifiche in tutti i campi e mentre – parallelamente – la stragrande maggioranza dell’umanità convive con povertà, paura, malattie, insicurezza, distruzione sistematica della natura.

Ce n’è abbastanza per porci la classica domanda del “che fare?” ma anche per ragionare su come accelerare i tempi della risposta e le forme dell’auspicata unità che possono rendere tale risposta non solo efficace nell’immediato ma anche solida per la prospettiva.
Insomma, servono non operazioni congiunturali per sopravvivere ad una aggressione immediata e per “passare la nottata” bensì per riscoprire il valore della categoria del “pensiero lungo” per dirla con Berlinguer, cioè, quel tipo di analisi lucidamente attenta alla realtà senza dogmatismi e devianti ideologismi che consente di aggredire i problemi alla radice ed inserire le soluzioni e le proposte all’interno di una visione strategica di trasformazione della società.
Di certo oggi è aumentata la consapevolezza che occorra ridiscutere i fondamenti politici di quella che dovrà essere la sinistra dei prossimi decenni. In sostanza una sorta di nuovo Manifesto della sinistra moderna che possa reggere alle sfide del mondo contemporaneo.
Tuttavia, preliminarmente o, quantomeno, contestualmente a questo occorre porsi il problema – appunto – del mettere fine alla diaspora, alla frammentazione, alla divisione.
Quali forme e percorsi debba assumere questa riaggregazione o riunificazione è la questione dell’oggi. Qui sta uno dei punti cruciali poiché un processo del genere non può essere costruito né con leggerezza né con precipitazione e, soprattutto, non è appannaggio dei soli partiti; viceversa occorre una discussione che coinvolga il più vasto popolo della sinistra a partire dal contributo - che non può che rivelarsi prezioso - di molti intellettuali che negli ultimi anni sono stati messi ai margini da una pratica politica sempre più autoreferenziale, escludente e permeata di tatticismi.

Oggi ritroviamo in campo più proposte, tutte di estremo interesse che solo in apparenza possono risultare lontane tra di loro e che in realtà non lo sono. Ne cito alcune: la Confederazione della sinistra, la Rete dei partiti e dei movimenti della sinistra, la Sinistra Europea, la Costituente di una Sinistra Nuova. Proposte avanzate da partiti, da settori di partito, da associazioni, da aree del sindacalismo di sinistra. Occorre entrare con i piedi nel piatto affinché la discussione non resti nell’astratto.
Le recenti dichiarazioni di Bertinotti sulla necessità di costruire una “massa critica”, di Cossutta che auspica “una sinistra unita che sappia parlare al popolo”, di Diliberto che rilancia la tesi di “sinistra federata” magari come fase transitoria, le posizioni dentro la sinistra Ds che parlano della “necessità di mantenere aperta una prospettiva socialista”, la pressione di alcune importanti associazioni nazionali affinché si inizi il percorso della Costituente della Sinistra Nuova, rappresentano il segnale più forte e più evidente che i tempi sono maturi.

UNITI A SINISTRA - CARRARA

Unità a Sinistra … a Carrara
Associazione politico-culturale "Luigi Longo"
Circolo di iniziativa culturale carrarese


INIZIATIVA PUBBLICA

VENERDI’ 23 MARZO 2007 ore 17.00
c/o sala di rappresentanza Comune di Carrara

VERSO L’UNITA’ DELLA SINISTRA
Le ipotesi in campo

Tavola Rotonda con

sen. Piero DI SIENA
sen. Claudio GRASSI
sen. Gianfranco PAGLIARULO
on. Pino SGOBIO

Presiede: Letizia LINDI, Circolo di iniziativa culturale carrarese
Introduce: Piercarlo ALBERTOSI, Associazione “Luigi Longo”
Hanno aderito:
Comitato toscano per difesa della Costituzione –Riviste: Sinistra. - Aprile on line - Il Ponte - L’Ernesto

Unità della rappresentanza ed unità organizzativa

06 luglio 2007
Sui giornali nazionali e in molte realtà locali abbiamo osservato un fenomeno che suscita preoccupazione. Si registrano infatti numerosi incontri fra dirigenti e/o personalità istituzionali di Sinistra Democratica, Rifondazione Comunista, Comunisti Italiani, Socialisti, Verdi - non sempre peraltro tutti o tutti insieme - ma appare nullo il coinvolgimento delle associazioni, dei movimenti, dei comitati o delle singole persone che con tanto entusiasmo e tante aspettative hanno aderito fin dalla fondazione a Sinistra Democratica: insomma, il popolo del 5 maggio.
Siamo ben consapevoli che il movimento ed il processo unitario sono in fase iniziale, ma il fatto che - in troppi territori - esso abbia avuto inizio con sostanziali esclusioni non ci sembra un buon segnale. Peraltro, in molti di questi incontri (soprattutto nelle realtà interessate dalla tornata elettorale del 2008) si comincia a parlare esplicitamente e con crescente convinzione di liste comuni fra PdCI, Rifondazione, Sinistra Democratica (con significative e freudiane dimenticanze).L'idea di presentare liste unitarie è una buona idea perché da una parte obbliga le forze politiche a ragionare in termini unitari (e non concorrenziali) sulle tematiche locali e dall'altra rende il processo unitario plasticamente visibile alla platea degli elettori e dei simpatizzanti di sinistra. Ma se la questione si fermasse qui ed il percorso unitario non si spingesse in avanti verso l'unità organizzativa si tratterebbe di pura tattica politicista che avrebbe il fiato corto. Anche al più sprovveduto degli elettori apparirebbe contraddittorio il fatto di essere chiamato a votare per rappresentanti unitari della sinistra mentre essa continua ad essere organizzativamente "separata e plurale", magari - ben che vada - con un accordo federativo che sarebbe sempre esposto a difficoltà o a valutazioni tattiche di qualche partito.
Ci pare perciò logico pensare che l'unità nella rappresentanza postuli una conseguente unità anche strutturale ed organizzativa. Processo non facile, non privo di resistenze (anche su nobili contenuti), ma coerente con la scelta di unificare la rappresentanza istituzionale. Lo stallo su una nuova seria legge elettorale e la rincorsa delle ultime settimane del referendum non aiutano.
La proposta federativa è una buona idea che consentirebbe di mettere tutti i soggetti (non solo partitici) a ragionare sulle cose, a riscoprire la categoria dei pensieri lunghi, a porre le basi per la costruzione di un progetto politico "generale e condiviso" di trasformazione della società, di porre nell'azione politica immediata alcune priorità valoriali partendo dalle cose che già oggi uniscono; ma il percorso federativo ha una sua forza intrinseca se è inteso come passaggio e se è propedeutico alla unificazione anche organizzativa della sinistra. Ergo, al partito della sinistra.
Diversamente, abbiamo l'impressione che qualcuno voglia solo prendere tempo per resistere e far "passare la nottata" o magari per preparare un progetto diverso, ad esempio l'unità dei comunisti. Cosa, quest'ultima, dignitosa e non priva di ragioni e di consenso, ma che andrebbe esplicitata in partenza con il coraggio e l'onestà intellettuale che dovrebbero contraddistinguere qualunque dirigente della sinistra.
Piercarlo Albertosi, Luigi Mannelli, Grazia Paoletti, Simona Zoccola - Associazione Luigi Longo

10 febbraio 2008 - NASCE IL MOVIMENTO PER "LA SINISTRA L'ARCOBALENO"

L'assemblea dei movimenti e delle associazioni per la Sinistra l'Arcobaleno, riunita a Roma il 10 febbraio 2008 al Cinema Farnese, assunto il dibattito avvenuto tra più di mille persone, che ha evidenziato la quantità e la qualità dei conflitti in corso sui territori aperti dai movimenti, dalle associazioni, dalle reti e dai comitati, compagne e compagni attivi per il processo di trasformazione e di liberazione della società:• preso atto del processo di costruzione della Sinistra nel Paese, che per il suo buon esito deve essere innervato dalla forza del movimento in tutte le sue articolazioni;
• consapevole del fatto che i movimenti non potranno trovare tutti rappresentanza all'interno delle liste elettorali, ma convinta del fatto che soltanto con un organismo di coordinamento, da nominare, si possa garantire la massima rappresentanza nelle istituzioni a tutte le realtà di base e di conflitto;
impegna il costituendo coordinamento nazionale dei movimenti
• a incontrare al più presto e comunque non oltre la fine di febbraio, le segreterie nazionali di Prc, Pdci, Verdi e Sd per la costruzione di un solo e condiviso programma elettorale e per la formazione delle liste elettorali all'interno delle quali sia prevista una quota non simbolica di candidati eleggibili nelle elezioni politiche e in quelle amministrative espressione dei movimenti e delle realtà territoriali. Tale percorso dovrà essere validato a tutti i livelli dalle assemblee dei movimenti e dovrà essere assunto coma la sola pratica politica in occasione di tutte le scadenze elettorali;
• a promuovere, su tutti i territori, assemblee dei movimenti finalizzate alla costruzione delle case della sinistra, capaci di contenere sotto un solo comune denominatore - la società diversa e più giusta per tutti - le differenze tra le persone e tra le organizzazioni di partito e di movimento.
Impegna infine il movimento e tutte le sue articolazioni ad avviare da subito il processo di adesione alla Sinistra l'Arcobaleno.
A sinistra, Associazione della sinistra lucana, Argentina Democratica, Ars Associazione Rinnovamento Sinistra, Articolo 1, Associa! Per il Socialismo del XXI secolo, Associazione Altera Generatori di Pensieri e Movimenti, Associazione Balliuè (KR), Associazione Bella Ciao, Associazione culturale Lanterna Magica, Belvedere Spinello (KR), Associazione Culturale Monte Verde Roma, Associazione Culturale Punto Rosso -Forum Mondiale delle Alternative, Associazione Luigi Longo, Associazione medica " Giulio Maccacauro " Salerno, Associazione Mobilità, Associazione Petroselli, Associazione Rossoverde - Sinistra Europea, Associazione socio culturale agorà Cava de Tirreni, BoBI - (Boicotta il Biscione), Casa della Sinistra di Bologna, Circolo culturale Socrate (KR), Comitato di Lotta per la Casa del Centro storico di Roma, Ecologisti - Uniti a Sinistra, FareSinistra di Pescara, Forum Sinistra Europea Alpe Adria, Gentedisinistra - Ferrara, Hirpinia Link(e), Il cantiere , Il Cantiere de La Sinistra l'arcobaleno di Padova, La città in comune - Ancona, La vice dei cittadini, La Casa del Popolo lacasadelpopolo.org, Laboratorio per la Sinistra di Taranto, Left, il Laboratorio per la Sinistra ad Est del Fiume Ticino, Libera Università Popolare, LiberAssociazione aderenti individuali alla Snistra Europea, Liberatorio Politico, Movimenti Rete per una Cultura Indipendente e Sostenibile, Movimento romano per la Sinistra arcobaleno, Movimento sardista, Net-Left, Network delle Comunità in movimento, Nodo Ambientalista Sinistra Europea, Nodo Glbtq, Nodo Lavoro Sicuro, Nuestra America per il Socialismo del secolo XXI, Officina Politica Pistoiese, Per la Sinistra, Pluriverso, Rete Femminista Sinistra Europea, Rete Giovani Comunisti, SEME (Sinistra Europea Movimento Ecologista), Sinistra casalese, Sinistra Ecoanimalista piemontese, Sinistra Euro Mediterranea, Sinistra Europea Mantova, Sinistra in Movimento , Sinistra romana, Sinistraunita Fano, Socialismo XXI - Forum Sinistra Europea, Socialismo XXI Genova, Transform!Italia, Unaltralombardia, Unione a sinistra liguria, Uniti a Sinistra, Zona Deprecarizzata

giovedì 3 aprile 2008

Sinistra; ricostruiamo una teoria economica

14 settembre 2007
Stanchi delle discussioni sul contenitore (ma spero che il nome almeno sia chiaramente definito: SINISTRA) dovremmo avere un orizzonte con un'ottica più lunga ed ambiziosa: costruire un programma economico della sinistra, o almeno alcuni spezzoni di esso attraverso nostre proposte. E inoltre ricostruire una teoria che lo supporti, senza buttare alle ortiche il nostro patrimonio teorico e culturale esistente in questo campo, come ha pensato di fare qualcuno in nome del mercato e del capitalismo trionfante o della fine della storia, ma invece ripensandolo ed aggiornandolo, insomma dando una ripulita e rilucidata alla "cassetta degli attrezzi".Anche perché, come si vede dagli attuali eventi relativi ai prestiti subprime, alle banche, alle borse e annessi e connessi, il capitalismo non è poi mica tanto trionfante, e non è la fine della storia. Citando Hobsbawm: "Il vecchio secolo è finito in un disordine mondiale di natura poco chiara e senza che ci sia un meccanismo ovvio per porvi fine o per tenerlo sotto controllo"...... "Viviamo in un mondo catturato, sradicato e trasformato dal titanico processo tecnico-scientifico dello sviluppo del capitalismo, che ha dominato i due o tre secoli passati. Sappiamo, o per lo meno è ragionevole supporre, che tale sviluppo non può proseguire all'infinito...." "Marx aveva ragione. Il capitalismo avrebbe finito col segare almeno uno dei rami su cui sedeva......" "Il mondo rischia sia l'esplosione che l'implosione. Il mondo deve cambiare.... il prezzo del fallimento, vale a dire l'alternativa a una società mutata, è il buio". Vi sono tante idee da recuperare, dalle categorie alla base della distribuzione del reddito della scuola classica (profitti, rendite, salari), alla teoria dello sfruttamento di Karl Marx, fino ai marxisti del XX secolo con Rosa Luxemburg, Lenin e altri, poi l'innovazione di Schumpeter ed infine Keynes con il ruolo della domanda, quindi del consumo per generare investimenti e reddito. E' importante riaffermare questi capisaldi teorici perché oggi nelle politiche economiche prevale di gran lunga la teoria della scuola di Chicago, il monetarismo e l'economia dalla parte dell'offerta, cioè gli incentivi e le agevolazioni alle imprese che dovrebbero generare lo sviluppo. Ebbene, questo in parte potrebbe funzionare solo se i profitti fossero sempre e tutti destinati agli investimenti, senza peraltro dimenticare con Keynes che se la domanda non "tira" gli investimenti non si fanno, e la domanda si incentiva a partire dai redditi più bassi che presentano una propensione al consumo molto elevata. Ma... c'è un ma grosso come una casa: oggi a prevalere sono gli investimenti finanziari o immobiliari, non quelli in beni capitale delle imprese. A conferma, una recentissima indagine della Associazione Artigiani e Piccole Imprese (CGIA) di Mestre: le grandi imprese fra il 2000 ed il 2006 hanno investito negli immobili (diversi da abitazioni di famiglie consumatrici) anziché in macchinari: gli acquisti dei primi sono aumentati del +88,1% mentre i secondi sono addirittura scesi del -7,2%, mentre nello stesso periodo l'inflazione è aumentata del +15,1%. Nel solo 2006 gli investimenti nel settore delle costruzioni sono stati quasi il triplo di quelli in macchinari ed attrezzature varie: 218,9 miliardi di euro a fronte di 79,6 miliardi di euro. (I dati registrano i finanziamenti richiesti dalle grandi aziende alle banche secondo la destinazione economica dell'investimento.). Si è dunque privilegiato l'investimento esterno di natura speculativa piuttosto che quello interno ai cicli produttivi dell'azienda per innovare, migliorare la competitività (di cui nei convegni ci si riempie tanto la bocca!) e divenire più concorrenziali sui mercati internazionali. La CGIA di Mestre sottolinea che l'investimento in immobili degli ultimi 5 anni è stato fortemente agevolato dalla cosiddetta Tremonti bis.Paradossalmente il capitalismo di oggi viene messo in crisi da strumenti del liberalismo classico come concorrenza, lotta alle rendite.Dunque per la sinistra c'è molto da recuperare in termini di teoria economica e di economia politica, per dare oggi un serio fondamento alle proposte di politica economica che necessariamente, ed ambiziosamente, deve formulare come elementi per il governo del paese. Proviamo ad elencare alcuni punti di tali proposte.-Riprendere distribuzione del reddito e teoria dello sfruttamento.Quindi questione salariale e anche controllo del processo lavorativo e delle condizioni di lavoro (ricordiamo in proposito le lotte degli anni '70)- questione sicurezza sul lavoro, e ovviamente precarietà e lavoro nero. Al contrario oggi con la detassazione degli straordinari proposta dal governo si toglie al sindacato il controllo del processo produttivo e se ne riduce il potere contrattuale.-Favorire la creazione di ricchezza con investimenti in innovazione e diconseguenza lavoro, destinando i profitti agli investimenti invece che arendite finanziarie e speculative.A tale proposito si può riprendere una idea sulla quale a sinistra si lavorò a fine anni 70:la detassazione dei profitti reinvestiti all'interno della azienda in beni strumentali (non in auto aziendali di lusso per idirigenti).-La tassazione delle rendite finanziarie così controversa oggi vaassolutamente sostenuta.-Tutti gli interventi di agevolazioni a pioggia non vanno bene, devonoessere condizionati a comportamenti virtuosi. E' lo stesso segretario della CGIA di Mestre Bertolussi che commenta negativamente la riduzione del cuneo fiscale: "il governo non avrebbe dovuto premiare indistintamente tutte le imprese; si sarebbe dovuto tener presente chi ha diversificato i propri investimenti in settori maturi per fare solo ed esclusivamente profitti e chi invece ha ri-immesso tutto nella propria azienda per renderla più virtuosa e più concorrenziale con l'obbiettivo di aumentare l'occupazione." Penso che la Sinistra, con i partiti, i movimenti, le associazioni, il popolo del 5 maggio, dovrebbe fare tutta insieme uno sforzo in direzione dell'unità, e che dovremmo subito iniziare a lavorare su un programma. Io parlo di quello che è il mio mestiere, l'economia e la politica economica, ma all'interno della sinistra vi è una miriade di conoscenze che deve essere attivata, anche al di fuori delle gerarchie precostituite. Il processo è faticoso, ed ambizioso, ma è vitale. L'Associazione Luigi Longo è disponibile con i suoi componenti a collaborare in tale impegno.
Grazia Paoletti - Associazione Luigi Longo