giovedì 30 ottobre 2008

A proposito del voto agli immigrati: democrazia rappresentativa e sistemi elettorali

In un sistema democratico occorre garantire il potere ed il controllo sul potere. Il contesto politico-costituzionale e partitico di un paese influenza la scelta del sistema elettorale e ne è a sua volta influenzato,con una relazione biunivoca. La struttura del sistema elettorale è cruciale per realizzare la vera democrazia rappresentativa, per dare a questo aggettivo un contenuto sostanziale.
In base al criterio della rappresentanza si possono definire i sistemi elettorali come forti o deboli, secondo l’ intensità della “attitudine manipolativa”, cioè la possibilità di condizionare o addirittura vincolare la scelta degli elettori: i sistemi deboli lasciano la più ampia libertà di scelta.
Il sistema più forte è il maggioritario a collegio uninominale secco, il più debole è il proporzionale di lista a collegio plurinominale con utilizzo dei resti nel collegio unico nazionale. Altri stanno in posizione intermedia secondo le correzioni introdotte.
La rappresentatività di un organismo si realizza quando esso rispecchia la composizione della società sottostante.
La qualità della rappresentanza democratica deriva da libere e periodiche elezioni che esprimono dei rappresentanti della società i quali devono rispondere agli elettori, verso i quali sono politicamente responsabili. Rappresentatività e responsabilità devono procedere di pari passo perché il sistema elettorale funzioni con equilibrio.
I sistemi deboli garantiscono alle assemblee elettive un elevato grado di rappresentatività, mentre i sistemi forti riducono il peso di tali assemblee.
Da tempo il sistema elettorale del nostro paese è andato progressivamente rafforzandosi con l’introduzione di modifiche successive, e conseguentemente si è ridotta la libertà di scelta dei cittadini. Inoltre attraverso il sistema elettorale si può, come si è già decisamente sperimentato, aggirare la Costituzione realizzando un rafforzamento del potere esecutivo, del capo del governo, a scapito del Parlamento e a dispetto della divisione dei poteri.
La rappresentanza proporzionale è un sistema “altamente fotografico” che riproduce esattamente la base dei cittadini elettori, cioè la composizione della società. Questo potrebbe dar luogo ad una pluralità di gruppi e di partiti in grado di disintegrare il sistema politico, a meno che non si introducano dei correttivi con strumenti elettorali o meglio politici: ad esempio un sistema forte di alleanze politiche, capace di deideologizzare il confronto concentrandosi sul “che fare”; naturalmente purchè l’alleanza funzioni.
Il problema di una legge elettorale adeguata a rappresentare tutti i cittadini si impone tanto più oggi quando i movimenti che vi sono nella società hanno acquistato un ruolo importante di per sé, al di fuori dei partiti, e gli elettori non accettano di essere manipolati attraverso marchingegni elettoralistici, come dimostra la variabilità delle astensioni a seconda del sistema di voto adottato. Uno di questi marchingegni, odiatissimo dagli elettori anche se caro agli apparati dei partiti, è l’abolizione delle preferenze nel proporzionale, dove le varie liste, da sole o in coalizione, sono presenti con i propri simboli e candidati: si blocca la lista, per cui dal capolista in giù i candidati sono eletti nell’ordine determinato dal partito, annullando ogni libertà di scelta dell’elettore in merito alle persone che nell’ambito del proprio partito ritiene più idonee a rappresentarlo, come è avvenuto ultimamente. Questo ha talvolta generato a livello sia nazionale che locale una perdita di voti del partito per disistima di alcuni candidati.
Si registra oggi una forte crisi di rappresentanza dei partiti. I quali peraltro possono riacquistare ruolo e senso solo nell’ottica dell’ art. 49 Cost., se attuano il dettato costituzionale in merito alla partecipazione dei cittadini ed alla democrazia: altrimenti appaiono, anzi sono, solo apparati per la gestione del potere, l’occupazione di posti e la relativa distribuzione. Così assistiamo a nomine e candidature fatte in base al criterio della “fedeltà”, che fa aggio su qualunque requisito di competenza, di professionalità, di legame con il territorio e con i relativi cittadini elettori, fino a vedere catapultare nei collegi candidati senza alcun collegamento con la realtà locale e le problematiche che dovrebbero andare a rappresentare. Tale legame è inesistente e, per il candidato con un posto in lista sicuro, irrilevante. Questo tipo di elezione genera dunque irresponsabilità negli eligendi e negli eletti, disaffezione alla politica negli gli elettori, per non parlare del disimpegno nella campagna elettorale di chi, al contrario, è conscio di essere solo un riempitivo di lista.
Si presume di poter ovviare a ciò attraverso elezioni primarie all’interno di ciascun partito o coalizione, che peraltro riguardano solo una parte dell’elettorato, e la scelta resta comunque condizionata poiché esse stesse sono manipolabili. Tuttavia in alcuni momenti le primarie hanno giocato, e possono giocare, un ruolo di supplenza della democrazia nei partiti. Sono talvolta necessarie, come una sorta di valvola di sfogo, appunto perché c’è una crisi di rappresentanza ed un deficit di democrazia nei partiti, che sfuggendo il dettato costituzionale non sono più promotori di partecipazione. Ma questa crisi va superata, perché il sistema democratico regge solo se c’è una scambievole e reale discussione nella società e nei partiti che la rappresentano ed una forte partecipazione di tutti i cittadini.
In tale ottica riconoscere il diritto di voto agli immigrati non comunitari stabilmente residenti nel nostro paese, i quali fra l’altro rappresentano una quota elevata dei cittadini residenti in alcuni comuni ed una quota elevata di lavoratori, i quali contribuiscono a produrre una quota elevata del prodotto nazionale, mi sembra una scelta politica e democratica sacrosanta.
Come mi sembra corretto che tale legge riguardi come minimo le elezioni amministrative, ma che alla luce delle ragioni indicate nulla osti ad una successiva estensione alle elezioni europee ed a quelle politiche.
Dunque il corpo elettorale deve comprendere a pieno diritto coloro che vivono stabilmente e lavorano nel paese, mandano i figli a scuola, fanno lavori pesanti ed inquinati che gli italiani rifiutano, curano i nostri anziani ed i figli piccoli delle donne che lavorano, pagano le tasse ed i contributi; insomma sono una fetta della società degna di godere a pieno dei diritti di cittadinanza e dei diritti politici.
E’ chiaro che in tale categoria non rientra chi vive nell’illegalità. Peraltro questo requisito appartiene anche ad alcuni italiani, i quali facilmente restano impuniti e comunque raramente perdono i diritti politici e l’elettorato attivo e passivo.

di Grazia Paoletti - Associazione Luigi Longo (pubblicato su Aprileonline.info del 9.9.2008

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