lunedì 14 aprile 2008

Interdipendenze tra macro e microeconomia

14 novembre 2007
La Sinistra che vogliamo
Questo intervento dell'Associazione Luigi Longo, intende ampliare il lavoro realizzato dalle compagne e dai compagni del forum ospitato in homepage da aprileonline. In particolare, si tratta di un confronto sulla sintesi "Quali politiche del lavoro" redatta da Elisa Migliaccio e approvata dai partecipanti al gruppo di discussione
Vorremmo aggiungere alcune cose alla sintesi della relazione redatta da Elisa Migliaccio a conclusione della discussione sul forum ospitato da aprileonline "la sinistra che vogliamo" (in alto a destra su questa homepage, ndr.). Infatti riteniamo che per parlare delle politiche del lavoro sia necessario ampliare il quadro di analisi ed il punto di osservazione. Solamente tenendo presenti le interdipendenze fra macro e microeconomia, i reciproci condizionamenti fra i grandi aggregati economici e le situazioni più specifiche con le quali ci si misura nei campi particolari, fra cui quello del lavoro che riveste per la Sinistra un'importanza primaria, si può avere l'ambizione (e dobbiamo averla) di costruire un programma per la Sinistra unita.
1. L'Italia cresce poco come PIL e nella scala della competitività mondiale si colloca al 40mo posto a fronte della Spagna al 22mo e anche dopo Portogallo, Polonia, Ungheria. Secondo l'Economist il nostro mercato del lavoro ed il regime fiscale sono giudicati fra i peggiori del mondo. La burocrazia è pesantissima e poco efficiente, c'è carenza di infrastrutture, il costo dell'energia è di media 4 volte superiore a quello di altri paesi europei. Tutto ciò scoraggia gli investimenti esteri.Il livello della spesa in ricerca e sviluppo sostenuto dal settore pubblico (incluse le Università) è in Italia intorno al 48% mentre la media UE è del 63%. Il sistema produttivo del paese risulta piuttosto statico (con rare eccezioni e punti di eccellenza in alcuni settori e zone prevalentemente del centro-nord): più di 1/3 delle imprese italiane, circa 1 milione e mezzo con 5 milioni di addetti, si è dotato di strutture organizzative e di modelli di comportamento che mirano alla realizzazione di un reddito stabile ritenuto adeguato; pochissime di esse sono tuttavia sensibili ad esigenze e ad incentivi miranti alla modernizzazione, all'investimento in innovazione, all'aggiornamento del modello tradizionale di specializzazione. Infatti, è vero che cresce la specializzazione nel classico made in Italy ma questa crescita avviene con produzioni manifatturiere polverizzate in microstrutture domiciliari nel Mezzogiorno (vedi Gomorra di Saviane) ovvero in paesi dell'Est, con peso crescente per marchi prestigiosi, o dell'Oriente. Anche questo spiega la bassa produttività del paese. Nella grande maggioranza delle aziende italiane di medie dimensioni gli utili di impresa vengono orientati prevalentemente su investimenti esterni, di natura speculativa, finanziari o immobiliari, invece che in reinvestimenti produttivi o in beni capitali per irrobustire le imprese stesse. Fra il 2000 ed il 2006 le grandi imprese hanno investito negli immobili (che non sono abitazioni per famiglie consumatrici) con aumenti dell'88%, anziché in macchinari, calati del-7%. In questa situazione sono necessari interventi per favorire la creazione di ricchezza (reale).
Occorrerebbe, quindi:
- Evitare le agevolazioni a pioggia (come la riduzione generalizzata del cuneo fiscale) ed invece condizionarle a comportamenti virtuosi, premiando la innovazione e la diversificazione degli investimenti aumentando la quantità e la qualità dell'occupazione.- Incentivare la ricerca per l'innovazione, nel settore pubblico e nelle Università attraverso spese ad hoc e qualificazione del lavoro e nel privato attraverso incentivi agli investimenti in innovazione e lavoro, detassando - per esempio - i profitti reinvestiti all'interno delle aziende in beni strumentali.- Investire nella formazione e nella qualificazione del lavoro. - Adeguare la tassazione delle rendite finanziarie ai livelli europei.- Promuovere in sede europea una specie di nuova formulazione della Tobin tax che disincentivi i movimenti di capitale a breve di tipo speculativo, che necessariamente non deve riguardare un solo o pochi paesi.
2. - Dualità del paese e aumento della forbice fra ricchi e poveri.Oltre che crescere meno degli altri paesi europei l'Italia cresce male; infatti aumenta il divario fra centro-nord e sud, fra imprese innovative ed imprese di sussistenza, fra ricchi e poveri,fra donne e uomini, fra giovani, età medie e anziani. Il 20% delle persone più ricche si appropria del 40% del reddito complessivo, mentre il 20% più povero della popolazione dispone del 7,8%. La non equa distribuzione è progressivamente in aumento. Da qualunque punto di vista le situazioni migliori del sud tendono ad essere sempre un po' inferiori a quelle migliori del nord.Come appare dal rapporto ISTAT e dal dati recentissimi della Charitas la povertà è in aumento, con percentuali doppie nel mezzogiorno rispetto al resto del paese.A livello di grandezze macroeconomiche l'insieme del reddito disponibile delle famiglie è rimasto invariato, mentre è aumentata in valore la spesa in consumi poiché è cresciuta in generale l'inflazione e particolarmente i prezzi di alcuni settori, gli alimentari e le tariffe essenziali, riducendo il risparmio delle famiglie che ne disponevano ed aumentando l'indebitamento. E' necessario dunque attivare controlli sui prezzi lungo tutta la filiera produttiva e sulle tariffe.Per attuare una buona politica di welfare che promuova adeguate condizioni materiali di vita per tutti è necessario pensare ad un ventaglio di soluzioni strutturali che vadano oltre le elargizioni monetarie e riguardino le condizioni esistenziali complessive delle persone. Tali politiche, oltre che rispondere all'esigenza dell'equità, possono generare anche opportunità di sviluppo economico e sociale del paese.
3. E' essenziale rivedere la distribuzione del reddito sempre più sbilanciata nei dati macroeconomici a sfavore del lavoro.I salari sono fra i più bassi d'Europa.La questione salariale va affrontata in accordo con le organizzazioni sindacali e nell'ambito degli accordi vigenti. Occorrono interventi di politica dei redditi redistributiva in favore dell'occupazione stabile, dei redditi da lavoro dipendente e delle pensioni.E' necessaria una legislazione per una moderna forma di scala mobile ed inoltre dispositivi per disincentivare l'ingresso di merci provenienti da aree e paesi che non rispettano i diritti sul lavoro come mediamente in Europa sono riconosciuti.Punti essenziali sono anche il controllo del processo lavorativo e delle condizioni di lavoro, la sicurezza sul lavoro, la lotta alla precarietà ed al lavoro nero.Oltre ai controlli adeguati si dovrebbero attivare forme obbligatorie di formazione antinfortunistica per i lavoratori, con spese a carico delle aziende e dello Stato.Il lavoro precario deve essere per l'azienda meno conveniente di quello a tempo indeterminato, e comunque con limiti e quantità rigidi, fatto salvo il part-time concordato nei modi e nei tempi ed immodificabile unilateralmente dall'azienda.Bisogna inoltre intervenire con un miglioramento sui lavori usuranti, anche se nell'ultimo anno alcuni passi avanti sono stati compiuti; sono infatti da eliminare le quote annue di lavoratori con diritto al pensionamento anticipato poiché il diritto alla salute non può essere subordinato alle questioni economiche ed è dubbia la legalità di trattamenti differenziati. Per quanto riguarda i turnisti di notte si è introdotto un numero di turni così alto da essere praticamente impossibile ottenere il diritto al prepensionamento, per cui il riconoscimento resta solo sul piano teorico. Occorre abbassare il numero fino a 60 o al massimo 65 turni annui.La stabilizzazione dei precari dei settori pubblici deve essere fatta attraverso forme coerenti di reclutamento ovvero attraverso concorsi pubblici riconoscendo un punteggio per il lavoro precario svolto. Diversamente si accetterebbe il concetto di una diversificazione delle modalità di assunzione nel pubblico impiego con una sorta di discriminazione verso quanti non hanno potuto accedere neanche al precariato. (Siamo sicuri che l'accesso a forme di precariato nella PA non sia talvolta avvenuto attraverso meccanismi clientelari a scapito di altri?) Comunque la PA deve ricorrere al lavoro precario solo nei casi e con i limiti previsti nei CCNL e dalle esternalizzazioni devono essere tassativamente esclusi i servizi e le attività che sono il "core business" degli stessi, come ad esempio i servizi di cura e di assistenza alla persona per il Servizio Sanitario Nazionale o, per fare un altro esempio, la riscossione di tributi per le pubbliche amministrazioni. Per quanto riguarda gli appalti va anche potenziata o reinserita la norma della responsabilità diretta dell'azienda pubblica appaltante nei confronti delle inadempienze delle aziende cui sono stati assegnati gli appalti.
4. Nel nostro paese il tasso di attività femminile (inserimento nel lavoro delle donne) nel 2006 è il 51%, a fronte del 63% dell'Europa a 15. E soprattutto nel mezzogiorno si registra un progressivo ritiro delle donne dal mercato del lavoro. Al sud i tassi di attività femminile sono fra i più bassi d'Europa. Il persistente modello familista di gestione dei rischi sociali implica che sia sempre il lavoro femminile a risentirne. Questa è la riprova di un sistema di welfare che non sostiene adeguatamente le attività di cura e di assistenza alla famiglia (nonostante l'ossessiva retorica familistica presente) e alimenta la cosiddetta "zona grigia" dell'inattività femminile concentrata per 2/3 nel mezzogiorno. A ciò va posto rimedio.La disoccupazione giovanile e la rinuncia della popolazione femminile a cercare lavoro sono fenomeni preoccupanti oltre che per le condizioni materiali di vita anche per la legalità.Altro fenomeno preoccupante è la ripresa delle migrazioni interne. Anche per questi problemi non è pensabile un' unica soluzione riguardante solo il lavoro in quanto tale, ma occorrono vari interventi integrati e coordinati su tutto il contesto economico, sociale, formativo, occupazionale, insomma c'è bisogno di "una politica" per il mezzogiorno.
5. Immigrati. La relazione esprime bene anche la nostra opinione.
IN CONCLUSIONE IN QUESTO PAESE SONO NECESSARI UNA SERIE DI INTERVENTI DI POLITICA ECONOMICA, FISCALE, SOCIALE E DEL LAVORO coerenti e compatibili, miranti alla crescita della ricchezza, alla equa redistribuzione del reddito, ad un sistema impositivo e di spesa dello Stato che generi uguaglianza dei sacrifici e delle opportunità, alla eliminazione dello sfruttamento e valorizzazione del lavoro, al miglioramento delle condizioni materiali di vita dei lavoratori e dei soggetti più sfavoriti.
Grazia Paoletti e Piercarlo Albertosi (Associazione Luigi Longo)

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