01 aprile 2008
Economia In 5 anni le retribuzioni dei figli (under 30) in termini relativi hanno perso 6 punti percentuali rispetto alle paghe dei padri e dei loro colleghi di età 51-60. La società, e sopratutto le imprese, dovrebbero pensare ad un miglior utilizzo dei giovani come risorse. Ma oggi, come in altri tempi, impera lo sfruttamento. Solo che allora c'era chi vi costruì sopra teoria e conoscenza come strumento di lotta. Oggi no
La repubblica.it di oggi 1 aprile (purtroppo non è un pesce d'aprile ma una cruda realtà) da conto del 9° Rapporto sulle retribuzioni in Italia realizzato da OD&M, società di consulenza e indagini nel settore. Esso mostra come in 5 anni le retribuzioni dei figli (under 30) in termini relativi abbiano perso 6 punti percentuali rispetto alle paghe dei padri e dei loro colleghi di età 51-60.
Si sono presi in esame oltre 1 milione e mezzo di profili retributivi di impiegati, osservando le differenze fra il 2007 ed il 2003, anno preso come base, nel quale il salario percepito dai lavoratori sotto i 30 ammontava all'82,9% dei colleghi di 41-50 anni e all'80,9% di quelli tra 51 e 60. Invece nel 2007 la quota spettante ai giovani di 24-30 anni è scesa al 77,1% rispetto all'età di mezzo ed al 73,8% dei più anziani, diminuendo di più di un punto l'anno.Infatti da una retribuzione lorda annua di 20.252 i giovani impiegati sono passati nel quinquennio a 22.121, quelli di mezza età da 24.415 a 28.684, i più anziani da 25.032 a 29.976, con un netto e continuo impoverimento dei 24-30enni rispetto ai loro colleghi maggiori di età, su paghe peraltro già complessivamente esigue.Confrontando le categorie, gli impiegati nel complesso perdono terreno rispetto ai dirigenti ed ai quadri: questi ultimi nell'ultimo anno hanno registrato i maggiori incrementi nelle retribuzioni lorde, soprattutto gli ultra sessantenni.
Dunque in un paese che non cresce ma resta stazionario, nel quale invece i prezzi aumentano progressivamente (per non parlare degli utili delle maggiori imprese che meriterebbero considerazioni a parte), i lavoratori perdono potere d'acquisto e, fra loro, i giovani in misura maggiore. Il presidente della OD&M Vavassori prevede che non solo non vi sarà recupero a breve delle disparità, ma anzi la differenza tende a consolidarsi. Il recupero semmai può avvenire dopo i 30 anni.Da una intervista dello stesso presidente emerge che il divario delle retribuzioni fra generazioni dipende dalla logica delle imprese, per cui il lavoratore all'inizio va pagato meno perché ha bisogno di qualificazione: cioè viene ricaricato sui giovani l'onere della formazione professionale.
Al contrario, secondo noi, questo dovrebbe essere a carico dello Stato (in attuazione del diritto costituzionale alla formazione ed istruzione), e dell'impresa stessa per le ulteriori caratteristiche specifiche richieste, come peraltro avveniva quando si attuavano politiche del lavoro che vedevano nelle imprese l'utilizzo di lavoratori più esperti per affiancare quelli all'inizio dell'impiego come tutor, addestratori dei più giovani colleghi.
Poi ovviamente la legge di mercato della domanda e dell'offerta fa la sua parte: infatti negli ultimi 5 anni l'offerta di lavoratori di 25-30 anni è aumentata, per cui le retribuzioni si sono abbassate; e ciò in misura maggiore per i laureati. Per i diplomati va meglio perché "sono operativi in tempi più brevi".Inoltre non è secondario secondo il prof. Vavassori il ruolo degli intermediari: se le agenzie per il lavoro operano soprattutto sulla quantità (avete presente l'ultimo film di Ken Loach?) le differenze si possono accentuare. Una intermediazione di qualità potrebbe invece aiutare un riavvicinamento retributivo. In questi anni si è usata la legge 30 con troppa disinvoltura, come nei call center (posso citare l'ultimo film di Virzì?).Tutto questo paradossalmente avviene in un periodo nel quale è maggiormente rilevante il bisogno di risorse economiche in particolare per i giovani lavoratori, per i precari, per permettere loro di costruirsi una vita "normale", sicura, di fare progetti per il futuro, di mettere sù una famiglia, incentivando la natalità del paese, oggi vecchio e stanco. Lo svecchiamento della società italiana avrebbe notevoli ricadute positive sull'economia del paese nel periodo medio, sarebbe dunque un buon investimento per il benessere futuro, mentre l'atteggiamento opposto crea danni anche a lungo termine.
In conclusione la società, e sopratutto le imprese, dovrebbero pensare ad un miglior utilizzo dei giovani come risorse. Ma oggi, come in altri tempi, impera lo sfruttamento. Solo che allora c'era chi vi costruì sopra teoria e conoscenza come strumento di lotta. Oggi no.
Grazia Paoletti - associazione Luigi Longo
giovedì 3 aprile 2008
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